#storia&viaggi. La Via della Seta, millenario incontro tra culture di Giulio Pavignano

“Via della Seta”… basta pronunciare quest’espressione per sentirsi trasportati in un mondo fiabesco, mentre nella fantasia si affollano tumultuose le vivide immagini di distese desertiche ed interminabili carovane, di splendidi palazzi e rumorosi caravanserragli, di intrepidi mercanti che ritornano dall’Oriente con le casse ricolme di morbide sete, incensi odorosi e spezie fragranti. Benché la cartografia non rechi più tracce di nomi suggestivi attribuiti a contrade sconosciute, e il velo di mistero che avvolgeva le sconfinate steppe e le impervie vette dell’Asia sia stato in pratica del tutto strappato, anche per noi moderni l’Oriente rimane circonfuso di un fascino che le aride nozioni degli Atlanti non riescono a dissipare del tutto.

Ma, in realtà, cos’è davvero stata la “Via della Seta”? Con quest’espressione, coniata dal geografo Ferdinand von Richtofen verso la fine dell’Ottocento, si intende una fitta rete di itinerari terrestri e marittimi che dall’antichità fino all’età moderna hanno collegato la Cina ai porti del Mediterraneo e del mar Nero. A rigore, dunque, le vie della Seta sarebbero molteplici: quelle di terra passavano dalla Persia e dalle steppe oltre il Mar Caspio, attraversando le terre oggi comprese negli Stati di Uzbekistan, Tagikistan e altre repubbliche ex sovietiche e aggirando il tremendo deserto del Taklamakan (nome che significa “se entri non esci più”), oppure si tenevano più a sud, lambendo l’Himalaya e percorrendo il Pakistan; quelle marittime partivano dal mar Rosso e dal golfo Persico e, dopo aver toccato i porti indiani, giungevano nel Mar della Cina. In questa arteria principale si innestavano poi altri tronconi, provenienti dall’India, dall’Arabia e da altre regioni ancora.

Quali merci venivano scambiate e trasportate lungo questi interminabili percorsi? Di tutto: dalla seta- ovviamente- alle perle (già pagate a carissimo prezzo dalle matrone romane!), dalle spezie agli incensi, dall’avorio ai tessuti. Superando montagne altissime e guadi pericolosi, attraversando terre selvagge e spopolate oppure dilaniate dalla guerra, i prodotti passavano di mano in mano, da una carovana all’altra, finchè giungevano a destinazione sui mercati europei o cinesi. Il pepe che veniva sparso in abbondanza sui piatti dei banchetti rinascimentali, o l’incenso che bruciava nelle fastose liturgie avevano alle spalle settimane di viaggio, costate pericoli e sacrifici ai mercanti ma anche fatiche immense ai lavoratori e agli schiavi che si trovavano all’inizio della filiera produttiva.

E tuttavia si sbaglierebbe a considerare la Via della Seta soltanto come una realtà economica. Lungo quelle strade hanno viaggiato per secoli anche idee, culture, religioni e filosofie: percorrendole si potevano incontrare comunità islamiche, buddiste, induiste, zoroastriane e di varie confessioni cristiane, o compiere un tratto di cammino con pellegrini, missionari cattolici, monaci buddisti. Grazie a questi molteplici apporti, anche l’arte ha conosciuto una straordinaria fioritura: dalle “grotte dei mille Buddha” presso Dunhuang alle moschee di Samarcanda, dalle chiese armene ai magnifici reperti della cultura Gandhara. Per cui, quando oggi si parla della nuova “Via della Seta” e di tutte le sue implicazioni politiche, strategiche ed economiche, non si dovrebbe mai dimenticare che l’importanza di questo itinerario non nasce dal nulla, ma affonda le radici in un luminoso passato, in cui realtà diverse hanno saputo incontrarsi per offrire alla storia dell’umanità alcune delle più significative testimonianze di cultura e civiltà.

Professor Giulio Pavignano.



Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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