La famiglia al tempo dei boomer era un insieme composito di regole da caserma ( “ questa casa non è un albergo”), di indicazioni culinarie mutuate dalla generazione precedente ( “ di sera solo ministre in brodo”), di mitizzazione della scuola ( “ così un giorno sarai un dottore”) e di senso del sacrificio genitoriale e senso di colpa filiale.
Finchè un giorno avvenne qualcosa di importante.
Nell’aria iniziò a sentirsi odore di contestazione e quell’equilibrio così statico che dominava famiglia inizio a poco a poco a sgretolarsi.
Arrivò Il ’68 con la sua forza dirompente e con gli eccessi di cui noi tutti fummo protagonisti.
Giunse poi il ’77, con la rivolta nelle università italiane e con l’illusione di sentirci tutti quanti dei piccoli rivoluzionari.
Infine arrivarono le brigate rosse che da quelle rivolte trassero in parte la loro insensate motivazioni.
Noi stavamo insicuri e confusi in mezzo a tutto questo.
In fondo eravamo boomer a mezzo servizio, un poco bravi ragazzi e un poco “ indiani metropolitani “.
Travolti da questi avvenimenti generazionali, ondeggiavamo paurosamente tra la ribellione e la visione della famiglia come un isola felice.
Tra le mura domestiche il nostro potere decisionale era molto vicino alla zero tuttavia fin da allora i genitori ci avevano posto su un piedistallo dorato. La famiglia lavorava per i figli. Sopportava i costi dell’istruzione affinchè i figli potessero scalare la gerarchia sociale. Si compravano vestiti per i figli ( e poco o nulla per i genitori) perché non sfigurassero al cospetto delle classi sociali più fortunate.
Come sempre , fin da allora, e per tutta la vita, noi finivamo per ondeggiare tra il sentirsi fortunati e la maledizione di dover essere bravi figli.
La nostra prima realizzazione, lo dico con convinzione, era quella di non deludere i nostri famigliari che appunto lavoravano, risparmiavano e soprattutto credevano in noi e attraverso di noi vedevano il loro riscatto sociale.
Va detto.
Noi boomer, noi fortunati, noi privilegiati – secondo la “ vulgata comune” – siamo cresciuti con il senso di colpa di magari non riuscire a laurearsi e dunque deludere la nostra famiglia. Con la paura quotidiana di essere un peso per i nostri genitori.
In questo contesto la nostra vita finiva spesso per essere una difficile lotta proprio contro noi stessi.
Ma perlomeno noi boomer abbiamo vissuto assaporando il gusto di raggiungere i nostri obiettivi. Avendo all’inizio davvero poco. Considerando le vacanze un lusso. Soffrendo i nostri successi.
Ma abbiamo vissuto davvero, grazie alle nostre splendide famiglie.