#testimoninelmondo: Conosciamo Ciro di Pers con Michel Camillo

Ciro di Pers nacque il 17 aprile 1599 appunto a Pers, una frazione del comune di Majano, in provincia di Udine; era figlio unico dei nobili Giulio Antonio e Ginevra Colloredo.

Dal 1613 Ciro di Pers frequentò per un quinquennio l’università di Bologna, dove affrontò studi filosofici e teologici; in tale ambiente conobbe Claudio Achillini e Girolamo Preti. Nella primavera del 1626 Ciro entrò nell’Ordine gerosolimitano dei Cavalieri di Malta; in seguito nell’isola partecipò attivamente a missioni militari contro i turchi. Nel 1633, quando Ciro aveva trentaquattro anni, morì la madre. In seguito il nostro venne affiliato all’Accademia degli Incogniti di Venezia. Ciro si spense proprio nella nativa Pers il 7 aprile 1663, pochi giorni prima del sessantaquattresimo compleanno.

Dopo aver accennato alle vicende biografiche di Ciro di Pers, passiamo ora alla sua produzione letteraria. Iniziamo col dire che intorno al 1659 scrisse una tragedia di argomento biblico, intitolata L’umiltà esaltata, ovvero Ester regina. Ma Ciro fu soprattutto autore di poesie: ce ne sono pervenute oltre trecentocinquanta, in gran parte sonetti; in poesia fu piuttosto versatile, perché toccò l’intera gamma tematica della lirica barocca. Ciro infatti compose liriche d’amore, carmi civili, meditazioni in morte (fra cui certi versi dedicati a una bambina vissuta solo pochi giorni), versi d’occasione e poesie di tematica religiosa e morale. In Ciro di Pers si osserva un acuto sentimento della fugacità del tempo e della precarietà della condizione umana. Per Ciro il critico Giuseppe Guido Ferrero parlò di “accenti preromantici”.

Fra le liriche di questo poeta abbiamo deciso di presentare il sonetto Orologio a ruote. Prima però occorre una premessa, per capire il contesto culturale nel quale il sonetto fu scritto. Nella poesia europea del XVII secolo era costante il tema dell’orologio che, implacabile, scandisce l’incessante fluire del tempo e spinge l’uomo a un’ossessiva meditazione sulla morte; inoltre la fantasia barocca insisteva sugli aspetti sepolcrali, la corruzione del corpo nella tomba, lo scheletro e la polvere.

Detto questo, possiamo leggere il sonetto:

Orologio a ruote

Mobile ordigno di dentate rote

lacera il giorno e lo divide in ore

ed ha scritto di fuor con fosche note

a chi legger le sa: Sempre si more.

Mentre il metallo concavo percuote

voce funesta mi risuona al core

né del fato spiegar meglio si puote

che con voce di bronzo il rio tenore.

Perch’io non speri mai riposo o pace

questo che sembra in un timpano e tromba

mi sfida ogn’or contro a l’età vorace

e con que’ colpi onde ‘l metal rimbomba

affretta il corso al secolo fugace

è, perché s’apra, ogn’or picchia a la tomba.

Innanzitutto si nota il suono cupo delle rime delle quartine: – ote -ore; ma la rima delle terzine “pace” – “fugace” è tutto un programma! Ma, se dal suono passiamo al significato, non c’è motivo di stare più allegri; osservate il verso 4: chi sa veramente leggere l’orologio non vi vedrà mai le due e mezza, le tre e un quarto, le cinque meno venti… bensì la scritta “Sempre si more”. Non c’è nemmeno bisogno di sottolineare il pessimismo di questa visione!

Ma per quel “Sempre si more” è stata proposta un’altra interpretazione: potrebbe essere l’anagramma del motto “Serpe mi morse”; il serpente infatti era anche simbolo di morte e, nell’iconografia rinascimentale, attributo delle Divinità del Tempo. Anche in questo caso, il pessimismo abbonderebbe.

Fin qui abbiamo parlato di morte. Ma il pessimismo di molti poeti barocchi non prevede un riscatto dopo di essa, come illustrano queste parole del critico Giovanni Getto: <Sulla morte si arresta, in effetti, lo sguardo di questi poeti, per i quali sembra ignota (o almeno assai episodicamente limitata) ogni apertura di eternità>.

In conclusione, torniamo un momento sul sonetto che abbiamo avuto modo di leggere, per notare che in esso l’orologio è visto non come una meraviglia della tecnica e neppure come un oggetto di uso quotidiano, bensì come un congegno malvagio, che misura il (poco) tempo che all’uomo è concesso di vivere; infatti le ruote dentellate dell’orologio paiono quasi le fauci di un mostro.

Michel Camillo-contg.news-reporter cooperator





Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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