I templi della ricerca scientifica di Luca Roverselli

Fino dalla storia più antica l’intelletto umano ha cercato di capire il mondo che lo circondava e ha sempre tentato di comprenderlo individuando qualche legge in grado di guidare la sua esplorazione. Già nell’antica Grecia sono sorte le prime ipotesi su quale potesse essere la struttura più intima della materia che compone tutte le cose che incontriamo nel corso della nostra esperienza di esseri umani. I filosofi di quel tempo così lontano intuivano che al di sotto delle forme e dei colori a noi familiari con i quali si presenta il mondo, doveva esistere una struttura più intima, completamente diversa da tutto ciò di cui un uomo poteva avere esperienza. Alcuni filosofi greci tra quali Democrito e Pitagora, rifletterono su questi affascinanti argomenti tra il V e il III Secolo a.C. e si resero conto che la sostanza che componeva tutte le cose che popolavano l’universo doveva avere una natura estremamente diversa da tutto ciò che il senso comune poteva ipotizzare. Quei pensatori di oltre due millenni or sono conclusero le loro speculazioni intellettuali ipotizzando che la materia doveva avere una natura che noi oggi chiameremmo discontinua.

il chimico e fisico inglese John Dalton

Ovverosia, se tentassimo di frazionare sempre di più un granello di qualsiasi materiale, ad un certo punto non potremmo più procedere con la nostra azione perché esiste un limite assoluto al frazionamento di qualsiasi sostanza. Democrito chiama questo limite “atomo”, che in lingua greca significa proprio indivisibile. Democrito va oltre e sostiene che l’esistenza di diversi tipi di atomi i quali, aggregandosi, danno luogo alla costituzione di tutte le sostanze note. Sicuramente quella del grande filosofo di Abdera fu un’intuizione tra le più profonde nella storia del pensiero umano e il suo modello di descrizione della materia nel suo stato fondamentale era destinato ad attraversare i secoli, fino a giungere nei laboratori dell’era moderna. Ma al filosofo greco mancava qualcosa che fosse in grado di provare che la sua idea di mondo microscopicamente discontinuo era corretta.

il chimico francese Antoine-Laurent de Lavoisier

Ai tempi della Grecia antica infatti non era possibile realizzare prove pratiche in grado di mostrare se quell’idea descriveva uno scenario fisico reale. L’indagine delle dimensioni ultramicroscopiche non fu praticabile per lunghi secoli e ai tempi di Democrito l’unica guida al pensiero era rappresentato dalla logica e dalle doti intellettuali di coloro che cercavano di indagare i profondi misteri della natura. Certo, se un discorso filava liscio e se le conclusioni derivavano in maniera necessaria dalle premesse, ciò era un buon indizio della sua correttezza…ma non è detto! Molte volte infatti l’intuizione umana, che deriva per forza di cose dal nostro modo ordinario di percepire il mondo, si è rivelata completamente falsa, proprio quando si cercava di interpolare da quel modo di vedere le cose, fino a dimensioni e tempi estremamente diversi da quelli della nostra esperienza corrente. La teoria atomica è destinata quindi a riposare sotto alle nevi del tempo per più di due millenni, prima che il fisico e chimico inglese John Dalton la riportasse alla luce. Dalton ragionò in maniera impeccabile sostenendo che gli atomi dovevano essere indistruttibili, anche nel corso delle reazioni chimiche.

il filosofo greco Democrito padre della teoria atomica della materia

Lo scienziato inglese fondò infatti la sua riflessione sulla fondamentale “legge della conservazione della massa” enunciata da Lavoisier. Il chimico francese stabilì infatti che: “in una reazione chimica che ha luogo in un circuito chiuso, la somme delle masse dei reagenti è uguale alla somme delle masse dei prodotti”. Quindi i componenti più minuti della materia dovevano possedere una propria identità inalienabile, di un tipo differente da tutto ciò che fino ad allora era noto. Dalton pubblica le sue conclusioni nel 1808, ma ancora una volta non è possibile determinare quale fosse la struttura fisica di tali infinitesimi elementi che costituivano la sostanza che componeva tutte le cose. Solo con l’osservazione della radioattività gli scienziati iniziarono poi a sospettare che gli atomi non fossero del tutto individui indistruttibili.

il fisico britannico Joseph John Thomson che nel 1897 scoprì l’elettrone.

Se emettono qualche tipo di radiazione, essa proviene infatti dal loro interno e quindi quel fenomeno ne varia le caratteristiche. All’inizio del XX Secolo il fisico britannico Joseph John Thomson propose per la prima volta un modello fisico di atomo. Il suo atomo era rappresentato in una porzione di spazio sferica ed era costituito da una massa fluida di materia caricata elettricamente con carica positiva, nella quale erano immerse le cariche negative rappresentate dagli elettroni, scoperti nel 1897. Fino ad allora – correva l’anno 1902 – ogni ipotesi sulla struttura più intima della materia era destinata a restare una congettura inosservabile e quel mondo infinitesimamente piccolo non poteva essere sondato dall’esperimento.

il modello atomico ipotizzato da Thomson che fu battezzato a panettone

Pochi anni più tardi però due allievi di Ernest Rutherford, Hans Geiger ed Ernest Marsden hanno realizzato all’Università si Manchester, con la supervisione del loro maestro, il primo esperimento cruciale per stabilire quale fosse la struttura interna dell’atomo. Rutherford sosteneva che la maggioranza della massa atomica fosse concentrata nel suo nucleo e serviva un sistema in grado di determinarlo. Da molto tempo si ipotizzava che gli atomi fossero davvero molto piccoli e Rutherford pensava che il loro diametro si attestasse sull’ordine di un milionesimo di centimetro. Per fare un millimetro se ne dovrebbero mettere in fila 100.000. Gli scienziati di Manchester proposero quindi di utilizzare per il loro esperimento le particelle alfa. Esse sono costituite da due protoni e due neutroni (un nucleo di elio-4), legati dall’interazione nucleare forte. La loro rilevante sezione d’urto le rende poco penetranti e questa era proprio la caratteristica che le rendeva perfette per la prova sperimentale che si voleva realizzare. Secondo il modello atomico fluido infatti quelle particelle, attraversando l’atomo, avrebbero presentato solo una leggera deflessione, mentre se era corretto il modello di Rutherford, nel caso in cui una particella alfa avesse urtato un nucleo atomico, essa avrebbe subito un netto rimbalzo all’indietro, come in realtà avvenne nel corso degli esperimenti, effettuati dai tre scienziati dal 1908 al 1913.

l’atomo classico non è altro che una sferetta infinitamente dura.

Quando la direzione della particella incidente non era sul nucleo, le particelle filtravano indenni attraverso l’atomo, mentre quando si muovevano in direzione esatta del nucleo, la carica positiva delle particelle Alfa incontravano una fortissima opposizione da parte del nucleo positivo rimbalzavano all’indietro, come palle contro un muro. Per la prima vota nella sua storia l’uomo era stato capace di sondare fisicamente il modello con il quale si proponeva di descrivere la natura di tutta la sostanza che compone il mondo. Con l’uso dei sensi, anche se amplificati attraverso strumenti che ne potenziano di molto la sensibilità, non è infatti possibile scendere oltre un certo limite nel mondo microscopico. La spiegazione classica osserva che la lunghezza d’onda della luce che dovrebbe mostrare ai nostri occhi quelle piccolissime dimensioni risulta troppo lunga per riuscire a rilevare quegli oggetti.

l’esperimento di Rutherford che stabilì le infinitesime dimensioni del nucleo atomico

Allo stesso modo, se in mare affiora un piccolo scoglio, un’onda che vi si infranga viene perturbata in maniera evidente solo se la sua lunghezza è inferiore alle dimensioni di quell’ostacolo, altrimenti lo sovrasterà senza segnalare la sua presenza. Ma esiste una spiegazione più profonda che coinvolge la struttura stessa del pensiero umano. Se è pur vero quanto abbiamo detto a proposito della lunghezza d’onda necessaria per rilevare un oggetto, è chiaro ormai da oltre un secolo che dobbiamo riflettere su di un’altra questione. Per progettare l’esperimento che vogliamo eseguire ci basiamo infatti su di un’ipotesi che abbiamo visualizzato in modo classico, basandoci sul nostro modo istintivo di raffigurarci gli eventi e la loro disposizione spazio-temporale. In parole più semplici, noi immaginiamo che la natura obbedisca, a tutti i livelli, alle stesse leggi che noi osserviamo in maniera immediata nelle vicinanze della dimensione fisica umana. Il meccanismo che descrive urti e repulsioni interpola infatti in modo diretto dal noto di tutti i giorni, postulando che ciò che osserviamo con le palle da tennis, valga anche per il mondo atomico, ma non è così.

Sir Ernest Rutherford che scoprì il nucleo atomico.

La nascita della meccanica quantistica, agli inizi del Novecento, con la sua natura controintuitiva ha reso evidente questo fatto agli scienziati di tutto il mondo. Si è scoperto che il mondo microscopico ha leggi proprie ed è stato chiaro che per interpolare dal nostro mondo fino a raggiungere la struttura ultramicroscopica della massa-energia è necessario realizzare veri e propri templi della scienza, le cui dimensioni e le cui tecnologie superano di gran lunga la fantasia di qualsiasi romanziere di fantascienza.

una rappresentazione classica della materia discontinua.

Al fine di fare il primo passo in questa terra sconosciuta, per Rutherford e i suoi allievi è stato sufficiente disporre di un laboratorio abbastanza modesto, ma per proseguire nel cammino è stato chiaro che, man mano che ci allontaniamo dalle dimensioni del nostro mondo ordinario, l’interfaccia di ingresso al nuovo mondo che andiamo ad esplorare diviene via via più imponente e difficile da realizzare. Nei nostri prossimi articoli percorreremo insieme questo cammino che ci condurrà sulle soglie dell’infinito.

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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