La Pasqua che abbiamo appena festeggiato, oltre a costituire la principale solennità cristiana, ci offre anche la possibilità di approfondire molti argomenti storici. In questo articoletto, cerchiamo di capire un po’ meglio alcuni aspetti del processo più celebre della storia: quello di Gesù di Nazareth. In particolare, esaminando i racconti della condanna e dell’esecuzione di Cristo, tentiamo una sintetica illustrazione dei rapporti che l’Impero Romano stabiliva con le élite politiche dei Paesi conquistati.
Nel 30 d. Cr.- l’anno che gli studiosi ritengono più probabile come data della Passione- la Palestina ebraica era sotto controllo romano da poco meno di un secolo. Questo non significa che l’aristocrazia dei Giudei fosse stata esautorata: anzi, i romani lasciavano ai potentati locali un’ampia autonomia, purché non si ribellassero e, soprattutto, pagassero regolarmente i tributi (tutti ricordiamo l’episodio in cui, per mettere in difficoltà Gesù, gli viene chiesto se sia giusto “pagare il tributo a Cesare”). Vari sovrani poterono dunque governare le diverse regioni palestinesi sotto tutela romana: il più celebre è Erode, al potere quando Gesù nacque, che nel timore di questo misterioso “re dei Giudei” in fasce ordinò la strage degli innocenti. Inoltre, i gruppi più potenti (sadducei, farisei, membri del Sinedrio) fissavano le regole della vita quotidiana e del culto: per evitare contrasti con questi influenti ceti sociali, i romani rinunciavano all’esposizione di immagini dell’imperatore, che gli ebrei avrebbero rifiutato come idolatre.

C’era però un potere che i romani non delegavano: la facoltà di comminare condanne a morte. Quando i sadducei e gli altri esponenti dell’aristocrazia sacerdotale giudaica decidono che Gesù, nell’annuncio di un nuovo messaggio religioso che diventa anche aperta sfida alla loro autorità, ha superato i limiti e va quindi tolto di mezzo, non possono condannarlo di propria iniziativa alla pena capitale: lo catturano, lo sottopongono ad un processo religioso, ma poi per ottenerne l’esecuzione lo portano dal governatore romano Ponzio Pilato (che mantenne la carica dal 26 al 36). E davanti al funzionario imperiale non avanzano l’accusa di blasfemia, che a Pilato non avrebbe fatto sostanzialmente né caldo né freddo, ma dipingono Gesù come un pericoloso agitatore politico, argomento al quale il governatore si dimostra assai più sensibile.
Anche le modalità di esecuzione, infine, ci dicono molto sui rapporti instaurati dai romani con i popoli sottomessi: la crocifissione era riservata agli schiavi e ai ribelli politici (categoria a cui, molto probabilmente, appartenevano i “ladroni” giustiziati con Gesù). Ai cittadini romani, invece, veniva risparmiata una morte così dolorosa e infamante: la condanna era eseguita mediante decapitazione- e questo sarà il destino di san Paolo, civis romanus che venne processato e giustiziato a Roma. Anche le vicende centrali del Cristianesimo, quindi, ben lungi dall’essere un racconto mitico e avulso dalla storia, ci offrono preziose informazioni su uno dei più grandi imperi di ogni tempo: una condanna irrilevante e marginale diventa così non soltanto il cuore della fede di milioni di persone, ma anche una significativa fonte storica per comprendere le logiche politiche di un mondo tanto diverso dal nostro.
Giulio Pavignano-reporter cooperator