Joseph Aloisius Ratzinger nasce il 16 aprile 1927, a Marktl, in Baviera: i genitori sono un commissario di gendarmeria ed una cuoca. A 12 anni entra in seminario, che però durante la guerra verrà chiuso; Joseph, come i suoi coetanei, è membro della Gioventù Hitleriana e viene inviato al fronte, prima nell’artiglieria contraerea e poi nei reparti di difesa anticarro che sul confine ungherese combattono l’Armata Rossa. Finito il conflitto, riprende gli studi e nel ’51 viene ordinato prete insieme all’amatissimo fratello Georg.
Nel ’53 consegue il dottorato in teologia con una tesi sull’ecclesiologia in sant’Agostino, in cui approfondisce due temi che resteranno sempre centrali nei suoi studi: la realtà della Chiesa e i grandi Padri. Divenuto professore di teologia in varie Università tedesche, acquisisce rapidamente una notevole fama in campo accademico, tanto da essere selezionato tra i consulenti teologici del Concilio Vaticano II, dove conosce e lavora al fianco di studiosi come De Lubac e Daniélou. Riprende l’attività di docente fino a quando, nel ’77, viene nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga; nello stesso anno, riceve la berretta cardinalizia.
E’ nell’ ’81 che arriva però la nomina più celebre: prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio. Nel 2002 diviene decano del Collegio cardinalizio; il 19 aprile 2005 viene eletto papa al quarto scrutinio, succedendo a Giovanni Paolo II, di cui è stato uno dei più fedeli collaboratori e che ha omaggiato nel suo primo saluto alla folla con l’espressione “grande papa”.
L’arrivo di Benedetto XVI è stato accolto con apprensione e commenti negativi da parte di coloro che auspicavano un pontefice aperto al dialogo tra Chiesa e mondo moderno. Ratzinger, ai loro occhi, aveva il profilo esattamente opposto: tradizionalista, arcigno difensore della dottrina, appariva come una sorta di Torquemada 2.0, pronto a bollare come devianza qualsiasi innovazione e a trasformare la sede di Pietro in un inflessibile tribunale. Gli argomenti di polemica, in effetti, non sono mancati: dalle facilitazioni per la celebrazione della Messa con il rito di Pio V alla cancellazione della scomunica per i vescovi seguaci di Lefebvre (tra cui almeno un aperto negazionista della Shoah); dai contrasti con il mondo musulmano, nati in seguito ad alcune frasi pronunciate in una conferenza a Ratisbona nel 2006, alle dichiarazioni sull’omosessualità come “attività oggettivamente disordinata” (testo del 1986, ma nella sostanza mai smentito).

Eppure sarebbe riduttivo ed ingeneroso ritrarre Benedetto XVI solo come un occhiuto censore, algido custode di una dottrina reazionaria e intangibile. Egli non ha esitato ad agire con coraggio contro la pedofilia del clero, prendendo posizioni più nette del predecessore e deponendo Maciel, capo dei Legionari di Cristo, coinvolto in vergognosi scandali; nei suoi scritti ha dimostrato non solo profondità teologica, ma anche sensibilità pastorale e grande attenzione ad una catechesi accessibile non solo ai più istruiti. Sicuramente più studioso che leader, ha progressivamente compreso le difficoltà del ministero petrino, giungendo infine alla radicale e spettacolare scelta delle dimissioni, di cui parleremo nel prossimo articolo.
Giulio Pavignano-contg.news
