La scoperta dell’America, spartiacque della storia (parte prima). #ilviaggiodiCristoforoColombo di Giulio Pavignano

1492: forse la data più famosa di tutte, poiché in quell’anno – come recita ogni libro scolastico- Cristoforo Colombo scoprì l’America. Ma questa frase cosa significa precisamente? Perché, e da chi, l’America doveva essere “scoperta”?

Gli uomini di cultura dell’età antica e medievale condivisero per secoli la stessa visione del mondo: il nostro pianeta è una sfera, nel cui emisfero superiore si estende una massa di terre emerse completamente circondata dall’oceano, mentre a sud dell’Equatore con ogni probabilità non c’è altro che acqua (e, in ogni caso, se anche ci fosse qualche altro lembo di terra, grande o piccolo, sarebbe inabitabile per il clima torrido). Esistono dunque solo tre continenti: l’Europa, che a parte l’estremo nord è abbastanza ben conosciuta; Asia e Africa, estese verso est e sud con una superficie che le informazioni disponibili non consentono di valutare con precisione. Il resto, appunto, è mare: sono state scoperte, sì, delle isole nell’Oceano (le Canarie, ad esempio), ma vengono considerate come estreme propaggini dell’Europa, mentre le tradizioni su altre terre ancora più lontane, come le cosiddette isole Fortunate, o Beate, sede del Paradiso terrestre, trascolorano con ogni evidenza nel mito. Colombo stesso, come tutti sanno, non si proponeva affatto l’approdo in terre sconosciute e vergini, ma l’apertura di una via per l’Estremo Oriente, itinerario possibile proprio per la sfericità della Terra e la mancanza di ostacoli sul tragitto. L’unico suo errore fu l’aver sottostimato la distanza tra Europa e coste dell’Asia: ma tale errore, dovuto a calcoli imprecisi suoi e di altri studiosi, si rivelò decisivo, poiché se l’Ammiraglio avesse conosciuto la lunghezza reale del viaggio non sarebbe mai partito.



L’arrivo in una terra di cui nessuno aveva sospettato l’esistenza sconvolse le concezioni degli europei (qualcuno, a ragione, ha paragonato l’effetto dirompente del viaggio colombiano a quello che ci sarebbe oggi se davvero scoprissimo con certezza la vita extraterrestre). In pochi decenni, la concezione del mondo mutò completamente: esistevano altre terre, tutte da esplorare, piene di opportunità e risorse; esistevano altri popoli (veri uomini? Vere creature di Dio, figli di Adamo come noi- ma come erano arrivati là?), con cui si dovevano stabilire rapporti, e che potevano essere convertiti alla retta fede. Ognuno interpretò questa scoperta secondo le proprie prospettive: Stati e sovrani videro immensi territori da conquistare, i mercanti sognarono affari e favolosi profitti, i missionari un terreno fertile per la diffusione del Vangelo (e Colombo stesso, com’è noto, non si mosse solo per la gloria o il gusto dell’avventura, ma contrattando con le Loro Maestà precise percentuali sul tornaconto dell’impresa). Mentre le navi avanzano, tra sfiancanti bonacce e tentazioni di ammutinamento di un equipaggio sempre più sfiduciato, all’estremo orizzonte si intravedono già il colonialismo e la Compagnia delle Indie, i galeoni spagnoli e le multinazionali del cibo; ma soprattutto inizia a prender forma il nostro mondo globale, dove un fatto avvenuto in un qualsiasi angolo remoto del pianeta è sulla rete in pochi secondi e dove, come ha detto qualcuno, se la Borsa di New York ha il raffreddore, Asia ed Europa hanno la polmonite.

Giulio Pavignano-contg.news

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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