Paolo VI (1963-1978): il papato e le sfide del post Concilio secondo Giulio Pavignano

Giovanni Battista Montini nasce a Concesio (Brescia) nel 1897, da una famiglia di forti convinzioni religiose e aperta all’impegno civile e politico (il padre fu per tre volte deputato del Partito Popolare). Cagionevole di salute, conseguì il titolo liceale da privatista; nel ’16 entrò in seminario, seguendo una vocazione sacerdotale che aveva avvertito fin dall’infanzia. Nel ’20 è ordinato prete e viene inviato a studiare a Roma: si iscrive a letteratura e filosofia, ma quando le sue capacità vengono notate da un parlamentare amico di famiglia, gli viene proposto l’ingresso nella diplomazia vaticana e deve dunque cambiare i corsi di studio, laureandosi in diritto civile e canonico. Nel ’23, affianca l’arcivescovo Lauri alla nunziatura di Varsavia, ma è costretto ad un rapido ritorno per i soliti motivi di salute (dell’esperienza darà comunque un giudizio negativo). Al rientro, per Montini si prospetta un doppio incarico: se il primo, l’ingresso nella Segreteria di Stato, era ormai previsto, la nomina ad assistente ecclesiastico nazionale della Fuci (la Federazione degli universitari cattolici) risulta del tutto inattesa. Montini, tuttavia, si applica al compito con impegno, dimostrando una disponibilità al servizio che non verrà mai meno: resterà assistente per quasi un decennio.

Seguono lunghi anni di lavoro alla Segreteria, di cui nel ’37 diviene sostituto: sarà al fianco di Eugenio Pacelli, suo diretto superiore come segretario prima e come papa poi, nei difficili anni della guerra e del dopoguerra. C’è chi vede in lui un possibile successore di Pio XII, che però non lo crea mai cardinale e, inaspettatamente, lo nomina nel ’54 arcivescovo di Milano. Anche in questo incarico – che ad alcuni pare un esilio – Montini dà tutto sé stesso: visite pastorali, missioni diocesane, dialogo con i non credenti e con preti “difficili” come Mazzolari o Turoldo. Nel ’58, Roncalli, che lo stima moltissimo, lo nomina cardinale: e proprio a lui succederà sulla cattedra di Pietro, in pieno Vaticano II, nel ’63.

Paolo VI riuscirà a superare l’impasse in cui cade il Concilio con la morte del predecessore. Benché alcuni critici gli abbiano rimproverato di aver smarrito lo slancio e la verve con cui era nata l’assise, è forse proprio il contrario: il nuovo papa garantì la prosecuzione dei lavori e, soprattutto, gestì la complessa fase del post concilio, in cui decisioni e riforme dei padri conciliari dovevano essere attuate (una per tutte, forse la più delicata: la riforma liturgica). Le difficoltà non finirono qui: Paolo VI si trovò a fronteggiare questioni di enorme rilevanza come i dibattiti su divorzio e aborto, le vicende delle Chiese del Terzo Mondo decolonizzato, le polemiche sulla contraccezione. Gli ultimi anni saranno ancora più tristi e bui, soprattutto per l’Italia segnata dagli anni di piombo e, in particolare, dal sequestro Moro, con gli appelli agli “uomini delle Brigate Rosse” per la salvezza di un leader politico che era anche un amico personale.

Un uomo del dialogo, amletico e tormentato, negli ultimi anni spesso malinconico (c’è chi l’ha chiamato “Paolo Mesto”). Eppure, almeno a giudizio di chi scrive, un grande papa.

Giulio Pavignano-contg.news

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: