Il Natale, insieme con la Pasqua, è senza dubbio la solennità più importante dell’anno cristiano: se a Pasqua si celebra il memoriale della morte e risurrezione, eventi decisivi nell’economia della salvezza, a Natale festeggiamo l’Incarnazione, la venuta nel mondo terreno del Figlio di Dio (e senza il Natale, ovviamente, non avrebbe potuto esserci nemmeno la Pasqua!). Questi fatti centrali della fede cristiana non possono prescindere da una domanda fondamentale: Gesù è davvero esistito? Stiamo parlando di una figura storica o di una bella leggenda?

Fino al periodo illuminista, nessuno ha mai seriamente dubitato dell’esistenza di Gesù di Nazareth. Certo, ci son state già dai primi secoli discussioni accesissime sulla sua “identità” -per usare un termine moderno: alcuni affermavano che non si trattasse del Figlio di Dio, ma di un semplice uomo, per quanto eccezionale e benedetto dal Signore; altri che avesse solo l’apparenza, l’immagine di uomo, ma che fosse una specie di visione scesa in terra per compiere la propria missione salvifica. Nessuno però negava che una persona chiamata Gesù fosse realmente vissuta e avesse predicato una nuova fede sulle polverose strade della Palestina. Nel ‘700 e nell’800, invece, qualcuno cominciò a parlare di Gesù come personaggio mitico, come “figura” di una salvezza attesa dagli ebrei e concretizzata dagli autori dei vangeli in un affascinante predicatore considerato dai suoi discepoli di origine divina. Non un uomo creduto Dio, ma in un certo senso il contrario: una fede in Dio che si materializza in un uomo mai davvero vissuto.
Non potendo affrontare una questione così complessa in poche righe, mi limito a qualche cenno. Tacito e Svetonio, due dei principali storici romani, accennano a Gesù nei loro scritti: è vero che si tratta di rapidi passaggi, ma per loro si trattava poco più che di una nota a margine, che per noi costituisce comunque un affidabile indizio. Anche qualche altro autore, come Giuseppe Flavio, un ebreo divenuto prigioniero dei Romani e poi autore di testi storici, fa riferimento a Cristo nella sua opera. Nei Vangeli compaiono riferimenti storici (quelli sulla nascita li esamineremo la prossima settimana), e la storia stessa della primissima comunità cristiana è un costante riferimento ad una persona fisica ed alla sua opera (come confermano le persecuzioni subite dagli Apostoli, a cui i sacerdoti ebrei impongono il silenzio su questo “Gesù Cristo”).
Ma, a ben vedere, è l’immagine stessa di Gesù che emerge dal Vangelo la miglior conferma di verità: una figura così lontana dall’immagine del Messia che gli ebrei- soprattutto la classe sacerdotale- avevano in mente che, se qualcuno avesse inteso costruire un mito di successo, gli avrebbe dato ben altri contorni. Il Messia che nasce nella stalla e muore sulla croce (che si creda o no nel suo messaggio: quello è tutto un altro discorso) è un Salvatore così poco plausibile per la fede ebraica del tempo che siamo davvero condotti a ritenere che chi l’ha descritto non potesse agire altrimenti, perché aveva davanti a sé un personaggio reale e non un racconto pensato a tavolino.
Giulio Pavignano- contg.news
