Nell’anniversario della sua morte andiamo a scavare nella vita di Ferenc Puskas, una vera icona del calcio mondiale.
“Chi non l’ha visto giocare non sa cosa si è perso”, parola di Alfredo Di Stefano che nel suo libro ‘Gracias Vieja’ ricorda così il suo amico Ferenc Puskas.
Già, proprio quel giocatore che la ‘Saeta Rubia’ non voleva nel suo Real Madrid dopo gli anni di inattività, tanti chili di troppo per poter essere ancora un giocatore decisivo. Eppure insieme hanno formato la coppia più devastante di sempre.
620 reti in 631 gare ufficiali con le maglie di Honved e Real per Puskas, le uniche due indossate in carriera insieme a quelle della Nazionale ungherese e, brevemente, di quella spagnola.
Cifre semplicemente senza senso.
Il suo palmares è a dir poco incredibile, colmo di trofei nazionali e internazionali. Un unico grande rimpianto: non aver vinto il Mondiale con la ‘Squadra d’Oro’ nel 1954 quando in finale la Germania Ovest sconfigge la squadra che non poteva perdere e rende quell’Ungheria la squadra più forte di sempre a non aver vinto un Campionato del Mondo, a pari merito con l’Olanda di Cruijff del 1974.
Nel 1956 diventa uno dei “traditori” che non torna in patria per contrastare l’avanzata sovietica, ancor più grave il suo disertare in quanto Colonello dell’esercito, un gesto che gli varrà una squalifica di due anni.
Una ferita profonda nell’animo di Puskas che non rinnegherà mai la sua scelta, fatta per salvaguardare la sua famiglia.
Il suo sinistro è uno dei più micidiali della storia del football, un concentrato di potenza e precisione con pochi eguali che ha fatto le fortune dei club dove ha militato. E poteva fare disastri anche in Italia.
Già, perché Puskas è stato due volte vicinissimo all’approdo nel nostro campionato.
La prima nel 1947 quando la Juventus prova a convincerlo a lasciare l’Ungheria, ma Ferenc dice no per restare vicino a Erzsébet, la sua fidanzata e futura moglie, che non vuole lasciare il paese dove è nata.
La seconda nel 1958 quando è Angelo Moratti che vuole portarlo all’Inter confidando nella riduzione della squalifica da parte della FIFA, uno sliding door che non si verificherà mai per l’amarezza dei tifosi nerazzurri e la felicità dei sostenitori del Real Madrid.
Ma se del Puskas giocatore sappiamo quasi tutto, il suo periodo in panchina è spesso sottovalutato.
Da allenatore del Panathinaikos ha conquistato 2 campionati greci e una finale di Coppa dei Campioni nel 1971, l’unica nella storia del calcio ellenico.
Solamente l’Ajax di Rinus Michels e Johan Cruijff interruppe il sogno dei ragazzi di Puskas, guidati alla finale dai gol di Antoniadis, capocannoniere di quell’edizione con dieci reti. Per il popolo greco Puskas diventa “Boss”.
Dopo il ritiro nel 1993 inizia il suo declino velocizzato da una malattia subdola come l’Alzhaimer che lo colpisce e lo porterà alla morte il 17 novembre 2006 all’età di 79 anni, con l’Ungheria che gli riserverà i funerali di stato.
Se n’è andato uno dei più grandi giocatori ad aver messo piede su un campo da calcio. Ha ragione Di Stefano: chi non lo ha visto giocare non sa cosa si è perso.
Stefano Villa
