L’universo tra pensiero e coscienza di Luca Roverselli. Prima parte

di Luca Roverselli-storico di contg.news

Nel lungo cammino del pensiero umano alla ricerca della realtà ultima di tutte le cose abbiamo avuto sempre più chiaro che i modelli che sono stati via via prodotti per spiegare la natura profonda del mondo hanno sempre descritto accuratamente le caratteristiche dello stato di coscienza nel quale si trovava l’uomo in ogni epoca la consapevolezza che egli aveva di sé, ma sono stati in grado di dire davvero ben poco su quale fosse la natura dell’universo. Il tentativo di descrivere l’universo oggettivo che appariva di fronte ai nostri occhi è sempre stato come cercare di afferrare un oggetto durante un sogno e tentare di trattenerlo al momento del nostro risveglio. Ma perché accade sempre così quando pensiamo di avere finalmente descritto in modo coerente e completo un tale mondo la cui visione ci appare così netta e oggettiva? Forse proprio perché un mondo oggettivo, così come lo vediamo, indipendente dalla coscienza che lo osserva, non esiste. Ecco quale è stato il più importante punto di rottura – breakthrough – nella storia del pensiero umano. Quando l’intuitiva e confortevole rappresentazione dell’universo come esterno e indipendente dall’osservatore era giunta alla vetta massima delle sue possibilità, non poteva proseguire ulteriormente ed era necessario qualcos’altro.

il grande fisico Richard Feynman

Per rendere chiaro questo concetto sarà utile un esempio preso dal campo della tecnologia. Verso la fine del XIX Secolo il progresso nella costruzione delle carrozze aveva raggiunto i suoi limiti. Erano stati ideati cuscinetti dallo scorrimento estremamente fluido che permettevano ai cavalli un traino più agevole, aumentando così la velocità degli spostamenti. Gli elementi che costituivano la struttura di quel tipo di veicolo erano inoltre divenuti molto leggeri ed elastici ed erano quindi in grado di consentire viaggi confortevoli in un ambiente silenzioso. Ma c’era un limite invalicabile che era quello che riguardava le caratteristiche intrinseche del cavallo. Anche in altri mille anni di migliorie tecniche si sarebbero potute raggiungere velocità di uno o due chilometri orari in più, ma il progresso era destinato a finire lì. Allora avvenne un breakthrough: fu inventato il motore a scoppio. I primi erano lenti e poco affidabili ma avevano un margine di miglioramento tale da poter superare di molte volte le prestazioni del traino animale. Ebbene, una cosa simile avvenne nella ricerca sulla natura dell’universo. Una volta che l’approccio classico, che considerava il mondo esterno e indipendente dall’osservatore, raggiunse il suo limite invalicabile con la Relatività Generale, era l’ora di un punto di rottura. Se è vero che nel Principio di Relatività di Galileo i risultati degli esperimenti dipendono dallo stato di moto dell’osservatore, è pur vero che la Relatività considera reale il mondo così come viene percepito. Einstein implementa in quel principio, prima i fenomeni elettromagnetici (1905) e poi i sistemi fisici accelerati (1916), ma il principio intuitivo secondo il quale l’universo che vediamo sia la realtà vera, resta.

Immanuel Kant che fu pioniere della ricerca di un mondo più profondo di quello percepito

Allora avvenne il prodigio e nacque una fisica del tutto differente che poneva il ruolo dell’osservatore al centro della scena, tenendo conto delle sue caratteristiche e della sua coscienza. Siamo nel dicembre dell’anno 1900 e nasce, per opera di Max Planck, la Fisica Quantistica. Fino ad allora si era postulato che materia ed energia fossero di natura continua, ovverosia frazionabili all’infinito. Con la sua teoria che “quantizzava” (rappresentava attraverso frazioni discrete) la struttura più intima della materia e dell’energia, lo scienziato di Gottinga riuscì a normalizzare alcuni infiniti che affliggevano i risultati dei calcoli nel campo della termodinamica, facendo rientrare nei ranghi le energie in gioco. Nei primi anni della sua vita la meccanica quantistica risultava parecchio oscura per gli scienziati che avevano iniziato ad occuparsene ed è stato necessario un certo tempo prima di raccapezzarsi almeno un po’. Lo stesso Richard Feynman, lo scienziato statunitense che fu Premio Nobel per la stesura del modello che descrive la luce a livello quantistico – Elettrodinamica Quantistica (Q.E.D.) – dichiarò alcuni decenni più tardi: “Penso di poter affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica”. La Quantistica indaga la struttura più intima della massa-energia, spingendo il suo sguardo nel mondo ultramicroscopico.

la funzione d’onda come probabilità di trovare la particella

In quel mondo tanto lontano dallo sguardo ordinario la coscienza assume un ruolo inedito. Per penetrare in quell’ambiente dell’infinitesimamente piccolo è necessario infatti interpolare in massima misura dalle strutture di pensiero che caratterizzano lo stato di coscienza ordinario dell’uomo e allora iniziano ad apparire e a diventare evidenti i primi bachi relativi ai postulati sui quali si fonda tutta la logica. Supportati da esperimenti fisici dall’esito certo e non contestato, appaiono allora strutture fenomeniche che non hanno corrispettivi nel mondo classico, tanto caro alla nostra vecchia e rassicurante intuizione. Werner Heisenberg enuncia nel 1927 il “Principio di Indeterminazione” che prevede l’impossibilità assoluta di determinare con una precisione illimitata i valori di alcune coppie di variabili. Per esempio non si può stabilire contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella. Ma ciò non secondo una spiegazione ancora una volta classica. Non quindi seguendo quell’argomentazione che spiega che, se tentiamo di misurare una distanza brevissima, allora, per rilevare quella frazione di spazio, dobbiamo utilizzare una lunghezza d’onda corrispondentemente piccola e perciò molto energetica, facendo inesorabilmente rinculare la particella da rilevare, della quale, in questo modo, non siamo più in grado di risalire alla posizione originaria corretta. In effetti la questione non è così banale, altrimenti sarebbe sufficiente portare le opportune correzioni nei calcoli e si otterrebbero i valori esatti di velocità e posizione. La coppia di quelle due grandezze invece non esiste fisicamente in linea di principio. Quel mondo è strutturato in modo diverso e il nostro stato di coscienza, quando si interfaccia con esso, va letteralmente in tilt. Già nel XVIII Secolo Immanuel Kant aveva descritto lo stato di coscienza umano come asservito a due strutture fondamentali sottostanti. Quelle radici della coscienza ordinaria, che Kant chiama Ragion Pura, sono proprio lo spazio tridimensionale e il tempo lineare, che determinano tutte le manifestazioni fenomeniche con le quali la coscienza umana è capace di venire in contatto.

Max Planck il padre della fisica Quantistica

Da allora gli scienziati hanno continuato a studiare e finalmente nel Novecento sono stati in grado di aprire il primo spiraglio per gettare lo sguardo sul mondo fisico reale che sta dietro al velo, fino ad allora imperscrutabile, della percezione propria della nostra specie. Gli anni che vanno dall’inizio del secolo scorso, fino a tutti gli anni Trenta sono stati un periodo particolarmente gravido di continue e sconvolgenti scoperte che andavano ben oltre il modo ingenuo che fino ad allora aveva regnato nella descrizione del mondo. A quell’epoca appartiene anche il più sconvolgente esperimento che fino ad allora era stato realizzato dall’ingegno umano: l’Esperimento delle Due Fenditure. Si tratta di costruire una scatola e su di una sua parete praticare due piccole fenditure parallele molto ravvicinate. All’interno, sulla parete opposta ai due piccoli tagli, poniamo un supporto sensibile, una pellicola fotografica o un sensore digitale. Adesso illuminiamo con una sorgente di luce la scatola dalla parte delle fenditure. Ebbene, sul supporto sensibile si formeranno delle frange di interferenza, dovute all’intrecciarsi delle onde luminose che penetrano attraverso i nostri piccoli tagli. Dove un picco dell’onda che passa dalla fenditura di sinistra corrisponde ad un picco dell’onda che passa da destra, si avrà un rafforzamento della luce. Dove invece un picco andrà a coincidere con un avvallamento dell’altra onda, si avrà un’interferenza distruttiva e quindi il buio.

uno chema dell’esperimento delle due fenditure

Fin qui tutto bene. Se però proseguiamo l’esperimento fino a lanciare un singolo fotone – particella di luce – alla volta contro le due fenditure accade qualcosa di straordinario. Noi saremmo portati a pensare che in quel caso il fotone passerà attraverso una delle fenditure e darà origine ad un punto di impatto registrato dal supporto sensibile. Ebbene, non avviene niente del genere. Anche emettendo una singola particella per volta, permane la figura di interferenza! Con che cosa quindi interferisce quella particella quando transita da sola? La risposta ha dell’incredibile: essa interferisce con una nuvola di probabilità di esistenza di se stessa. Questo avviene per una altro principio quantistico che non ha corrispettivi nel mondo classico. Si tratta della dualità onda-particella. Essa, quando attraversa le fenditure dell’esperimento, manifesta la sua natura di onda e la sua presenza ondulatoria è rilevabile ben oltre i confini entro i quali noi esseri umani ce la rappresentiamo intuitivamente. La sua essenza profonda, che i fisici chiamano “funzione d’onda”, interferisce con una parte di se stessa ed origina la figura di interferenza. Ma non è ancora tutto, anzi adesso viene la parte più rilevante del nostro discorso. Tutto ciò che ho descritto avviene infatti solo in un caso: se non andiamo a ficcare il naso dentro alla scatola che contiene la pellicola o il sensore. Se invece poniamo un rilevatore dietro ad una delle fenditure, per cercare di vedere se la particella passa di lì, allora, come per la rottura di un incantesimo, la figura di interferenza scompare e sul supporto sensibile apparirà un puntino in corrispondenza dell’impatto del fotone. Si dice che è avvenuto il collasso della funzione d’onda . Se la coscienza umana cerca di guardare la funzione d’onda, essa decade e ci appare quel mondo classico che il nostro stato di coscienza è in grado di vedere. Ma se già negli anni trenta questi temi erano al centro della ricerca dei fisici ed erano discussi dai filosofi, dove è arrivata ai nostri giorni l’indagine per comprendere cosa si cela dietro al velo della nostra coscienza? La risposta nella seconda parte di questa riflessione sull’avventura del pensiero umano.

Werner Heisenberg che determinò il principio quantistico di Indeterninazione.jpg

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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