#vitadaboomer. Il “vuoto dentro” negli anni 70 e la depressione post pandemia.

Ricordo una frase di mia madre, donna pratica e con una stupenda saggezza contadina : “ la depressione viene solo ai ricchi.

Noi non possiamo permettercela”.
Sono cresciuto marcato a fuoco da questa affermazione.


Ogni volta che la mia vita sembrava vuota e non trovavo alcun interesse nelle cose che mi circondavano pensavo che non avrei dovuto arrendermi perché avevo certamente molte cose da fare e
da dimostrare.


Oggi, trascorsi i sessanta, mi chiedo se mia madre aveva ragione.
Ma andiamo con ordine.


Che cosa era la depressione negli anni ’70?
Probabilmente un disperato rifiuto della realtà invasiva di quei tempi e dei suoi valori “ classisti”.

La depressione , nelle sue forme estreme, era anche annullamento nichilista di se stessi, paradisi artificiali, abbracciare ideologie estremistiche che offrivano un ultimo improbabile e sbagliato appiglio per uscire dal tunnel della disperazione.

Tutti elementi che costruivano l’ultimo baluardo oltre il quale esisteva solo il “ vuoto dentro “ , la terribile sensazione che ti uccide l’anima e nasconde ai tuoi occhi ogni via di uscita.


Ma la depressione, come ogni altra cosa, nel corso del tempo ha mutato forma e sostanza.


Oggi assistiamo a forme di depressione secondo me diverse e più complesse. Ma ciò che caratterizza a mio parere colui che oggi soffre di depressione è la consapevolezza di non avere alcuna
possibilità di redenzione. Gli anni ’70 hanno visto il fiorire di movimenti collettivi di protesta. Sono stati dominati dalle ideologie e da ciò che esse rappresentavano.

Oggi purtroppo non esiste
nulla che offra a chi subisce le conseguenze della depressione una
speranza di riscatto.

Il pensiero etico è scomparso. La cultura come speranza di riscatto è confinata in poche “torri d’avorio”. La religione
non è più intesa come una via di salvezza. Le ideologie infine sono definitivamente tramontate.

Il territorio in cui oggi si sviluppa “il male di vivere” è, a mio parere, il luogo della intelligenza, della sensibilità, della capacità di vedere la vera essenza del mondo in cui viviamo. Non è più rifiuto delle ingiustizie sociali, rabbia , frustrazione. E’ invece resa di fronte alla
consapevolezza di essere circondati dal nulla della pura apparenza.

Se nello scorso secolo il contrasto alla depressione poteva essere l’azione collettiva o comunque, in ultima analisi, la speranza del cambiamento, oggi questo stesso contrasto per forza di cose può essere il solo riscatto individuale e non collettivo. Il creare corazze
individuali che sappiano difendere dagli attacchi quotidiani di una realtà che non ha più una sua logica.

Riscatto individuale perché, come diceva mia madre, “ non tutti possono permettersi di essere depressi”.

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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