Padre Andrea Benedetto Ferri Osb
In questa domenica il Vangelo che la Liturgia ci presenta è l’invito di Gesù a pregare con perseveranza, per non dire con “insolenza”; pregare finché Dio non ci aiuta; “dargli sui nervi” finché non fa quello che gli chiediamo. E lo farà, dice Gesù.
Ma potete rispondermi: Non è vero. Per cosa abbiamo pregato, intensamente e a lungo, e non è successo nulla? Portiamo le nostre richieste davanti a Dio, giorno e notte, e nessuna di queste richieste viene esaudita! La nostra preghiera non è stata abbastanza lunga? Dio non ci ha ascoltato? Sta ascoltando?
Ebbene, se Dio non ci aiuta, nonostante le nostre preghiere, forse dobbiamo chiederci se stiamo pregando per la cosa giusta. Per qualcosa in cui Dio può davvero essere coinvolto, perché è buono.
E se non stiamo danneggiando
nessun altro con la nostra richiesta… Oscar Wilde disse: quando Dio vuole punire le persone, ascolta le loro preghiere. Credo che ci sia molto di vero in questo. Perché spesso i nostri desideri sono piuttosto miopi e molto egoisti. Quante volte nelle nostre preghiere pensiamo solo a noi stessi e non agli altri? Quante volte sento genitori che assillano Dio con lunghe preghiere affinché i loro figli facciano questo o quello o imparino, in modo che i desideri dei genitori siano esauditi e i genitori siano soddisfatti. Ma con quello che i genitori vogliono per i loro figli, forse i bambini sarebbero infelici per tutta la vita, o perché Dio stesso potrebbe aver chiamato questi bambini a qualcosa di completamente diverso… Oppure un coniuge prega che l’altro cambi finalmente, in modo che il matrimonio migliori e la pace ritorni in famiglia.
Ma forse non è l’altro a dover cambiare, ma forse è la persona che prega a dover cambiare prima se stessa! E possiamo continuare a pregare per anni affinché gli affamati siano sfamati e le guerre cessino – finché noi stessi non cominciamo finalmente a condividere – e finché non cominciamo a prenderci cura della pace nelle nostre case, non cambierà molto. Forse Dio non può cambiare così tanto nel mondo perché noi non cambiamo e perché noi stessi non partecipiamo affinché qualcosa cambi.
Forse dovrei aiutare Dio affinché una preghiera venga esaudita; ma non me ne accorgo nemmeno, perché sono ancora una volta così impegnato con me stesso. Forse Dio ha bisogno che io aiuti qualcun altro a risolvere un problema, ma io non lo sento nemmeno perché sto parlando di nuovo. Pregare non significa parlare in continuazione, una preghiera dopo l’altra. È ciò che a volte pensiamo.
Ma pregare significa anche: ascoltare. Ascoltare ciò che Dio potrebbe volere da me. Essere obbedienti e reattivi. Perché pregare non è una “strada a senso unico” da me a Dio. Pregare è come parlare con un buon amico. Non posso limitarmi a parlare tutto il tempo, devo anche ascoltare e stare in silenzio.
Un silenzio in cui l’altra persona può parlare con me. La preghiera non riguarda solo me che parlo a Dio, ma deve esserci anche uno spazio in cui LUI possa parlare a me. Dio è certamente presente per tutti, ma non per tutto.
Ma solo per “la destra”. Ed è per questo che dovremmo guardare con attenzione a ciò per cui preghiamo di tanto in tanto. La preghiera è apertura, confidenza e filialità spontanea con Chi non manca mai di ascoltarci e appunto per questo è l’espediente valido di accrescimento della fede.
Aprirsi a Dio senza esitazione, con la convinzione di una Padre misericordioso sempre attento ad ascoltarci e a interagire con noi nell’intimità, dischiude sempre più alla fiducia in lui e di conseguenza alla serenità e alla buona disposizione nelle vicende della vita di tutti i giorni. Di conseguenza il nostro credere è
sempre più motivato e radicato, capace di consolidarci anche nella prova e nella disperazione.
Mancare all’orazione o diminuirne gradualmente la frequenza può condurre al contrario a considerare superflua la fede stessa, poiché produce atrofia e aridità spirituale, con conseguenze lesive per lo stesso vivere.
Se la fede è una fiamma da attizzare continuamente, la preghiera è l’alito
che attizza questa fiamma, il soffio che le permette di innalzarsi ad oltranza o almeno ad evitare che si smorzi del tutto.
La domanda di Gesù è allora pertinente: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà,
troverà la fede sulla terra?” Saremo stati in grado di familiarizzare con Dio al punto da essere speculari di amore e di misericordia? Saremo stati in grado di usare radicalità e fissità nella nostra
fede, affidandoci unicamente a Dio come Padre al punto che questo avesse un riverbero nella nostra vita a edificazione di tutti?