Sulle vie di mondi sconosciuti

La realtà è un’illusione, sebbene molto persistente” – Albert Einstein

di Luca Roverselli-collaboratore & scrittore per contgnews

Fino dai tempi più antichi tutti i luoghi che per le condizioni ambientali e climatiche potevano ospitare un insediamento umano sono stati abitati in qualche momento del passato. Oggi noi abbiamo assimilato un’idea di comunità umana secondo i canoni che ci sono familiarmente noti e ci sono stati tramandati attraverso le memorie che sono relative ad una particolare cultura, che è quella occidentale. Anche quando tentiamo di indagare gli insediamenti umani del lontano passato, che appartengono a gruppi di uomini e donne che hanno conosciuto il mondo attraverso esperienze completamente diverse dalle nostre, cadiamo inevitabilmente in quella trappola che possiamo definire “del paragone inconsapevole”: seguendo questo meccanismo, noi rileviamo le strutture del loro abitare, cerchiamo di comprendere il loro linguaggio e analizziamo i loro utensili e gli oggetti di cui si circondavano e a questo punto trattiamo il tutto come se fosse appartenuto ad uno un occidentale come noi, ma molto più ingenuo e privo delle nostre conoscenze, decretando in tal modo che quella che stiamo indagando era una cultura cosiddetta “primitiva”, che non aveva capito niente del mondo che la circondava e che possedeva delle cognizioni molto confuse e parziali in qualsiasi campo del sapere. Questo è accaduto per lungo tempo ma a partire dalla seconda metà del XIX Secolo le cose sono cambiate molto repentinamente. In quel tempo si assisteva a rapidissimi progressi delle ricerche sulla struttura profonda dell’universo che avvenivano attraverso la fisica che con la neonata Termodinamica aveva appena introdotto il concetto di entropia e l’idea di fenomeni reversibili ed irreversibili.

Albert Einstein

Il merito va agli studi di Rudolf Clausius che nel 1854 definì il potente concetto di entropia che in seguito fu capace di definire la “freccia del tempo”. La domanda sul perché il tempo sembri muoversi in un solo verso – presentando quella che è stata definita un’aberrazione passato-futuro – è nata proprio in quegli anni. Stava fiorendo allora una visione meno immediata e meno ingenua del mondo e il riverbero di quelle ricerche si estese presto a tutte le altre scienze. La struttura della scienza in Occidente è infatti fondata sul concetto di riduzionismo che pone come piattaforma fondamentale di tutto il sapere quella scienza che ha il compito di indagare quale sia la struttura più intima di tutte le cose. Quel compito spetta proprio alla fisica e nello specifico a quella sua branca che da allora prende il nome di “fisica fondamentale”. Da essa emergono poi le altre scienze che vengono definite per questo motivo “emergenti”. La prima è la chimica, che si spinge nella sua indagine, fino ai liniti esterni di quel micro-mondo che è indagato dalla fisica. Poi si palesano tutti gli altri campi del sapere che vanno dalla biologia, che emerge dalla chimica, fino ad arrivare alle scienze umane come la sociologia o la psicologia.

il grande fisico Rudolf Clausius

In questo modo tutto scaturisce da qualcosa di molto profondo e ci si rende conto per la prima volta nella storia che quel grado ontologico di realtà non può essere stretto a forza entro i parametri di ciò che è immediatamente e intuitivamente conoscibile. Per la cultura umana questo è un momento fondamentale della sua evoluzione. L’onda lunga di quella consapevolezza conduce coloro che si occupano della ricerca di quale fosse la visione del mondo propria di altre culture umane a percorrere una via totalmente nuova che forse sarebbe stata in grado di fornire alcune risposte a quelle domante che fino ad allora non avevano potuto ottenere alcun genere di risposta. Fino ad allora si cercava di capire quale fosse la visione del mondo di culture o civiltà diverse dalla nostra attraverso l’indagine archeologica sulle vestigia di antiche civiltà scomparse. Ma il procedimento è fallace.

un diagramma che rappresenta il concetto termodinamico di freccia del tempo

L’opera di scavi in aree che hanno ospitato antichi insediamenti umani e il recupero di materiali e informazioni che si possono ottenere dai reperti presenti in quei siti vengono comunque analizzati da persone che appartengono al nostro tempo e alla nostra civiltà e la loro analisi risentirà inevitabilmente della nostra concezione del mondo. Come fare quindi? La soluzione esiste ed è concettualmente molto semplice: basta analizzare una cultura molto diversa dalla nostra ma che non sia scomparsa da lunghi secoli e debba perciò essere reinterpretata da noi, ma possegga invece una sua identità viva e attiva ed è sufficiente quindi andare a studiare quelle società tribali che non hanno ancora avuto contatti con il mondo occidentale. Questo è il compito che si è posto una nuova scienza, l’antropologia. In luoghi lontani dalla civiltà occidentale la natura umana si esprimeva allo stato naturale: la coscienza era libera dall’influenza dell’ambiente artificiale che le era stato creato attorno attraverso lo sviluppo urbano delle città e attraverso la logica linguistica, fondata proprio sulla percezione intuitiva di quell’ambiente. Lì gli uomini erano scevri da quei preconcetti che per molti secoli hanno ristretto il sapere entro i confini di ciò che è immediatamente intuibile dall’uomo occidentale. Si tratta di un concetto profondo e fondamentale. Nessun antropologo infatti ha dedicato lunghi anni della propria vita per studiare culture umane tanto diverse dalla nostra, in condizioni disagiate e spingendosi in luoghi a volte molto inospitali, con il solo scopo di sapere, per pura curiosità, cosa cucinassero, come chiamassero i loro utensili, a che età in media fossero soliti prendere moglie, oltre ad altre questioni amene di questo tono. Lo scopo degli studi di quei ricercatori era invece di altissimo profilo. Essi cercavano infatti di determinare se fosse possibile una rappresentazione del mondo radicalmente diversa da quella dell’uomo occidentale. Dalla storia del pensiero filosofico sappiamo ormai da alcuni secoli che noi uomini della cultura di ponente ci rappresentiamo l’universo come un immenso luogo esterno e indipendente dalla nostra coscienza, ma sappiamo che ciò è il frutto di un meccanismo che si è radicato in noi lungo la filogenesi della nostra civiltà. Esistono quindi popoli presso i quali le cose stanno diversamente?

nelle culture totemiche il Totem è il centro della coscienza collettiva

La risposta è affermativa. In alcune culture tribali la loro stessa logica linguistica, che è lo strumento che permette a noi tutti di descrivere e conoscere il mondo, non possiede termini o costruzioni che possano descrivere un luogo esterno all’unità di coscienza che è nell’atto di conoscere. Per questi uomini non esiste nulla esternamente alla coscienza e tutto ciò di cui si può fare esperienza è una declinazione nella quale la coscienza stessa si esprime. Se ci pensiamo un momento, ciò è qualcosa di estremamente logico, infatti ogni tipo di esperienza non può avvenire in qualche ipotetico luogo esterno ma avviene per forza di cose all’interno della coscienza. Lo stesso vale per le percezioni. La loro esperienza si realizza infatti all’interno della coscienza di ogni essere senziente. Per ogni essere sarà quindi rappresentato un mondo diverso, esterno o interno, che dipenderà dal suo stato di coscienza. L’antropologia è una scienza abbastanza giovane, se paragonata all’astronomia o alla fisica e nella sua storia, lunga poco più di un secolo e mezzo, è riuscita a svelare molte questioni che gettano luce sulla vera natura della coscienza umana.

alcuni uomini di una cultura tribale presente in Etiopia

I risultati vanno però oltre e svelano la natura transitoria di ogni rappresentazione del mondo che deriva da qualsiasi cultura, a qualsiasi livello. Oggi coloro che si occupano della ricerca fondamentale che si propone di catturare la struttura ultima del mondo reale sanno bene tutto ciò e infatti è chiaro che le nostre descrizioni dell’universo non sono altro che modelli attraverso i quali descriviamo il mondo e tali modelli molto ci dicono di noi stessi ma ben poco sono in grado di dire sulla vera natura della realtà. In fisica e in cosmologia infatti prendono proprio questo nome e si chiamano: Modello Standard delle Particelle e Modello Standard Cosmologico. Ma che “forma” ha allora il mondo reale e c’è qualche popolo, del passato o del presente, in grado di indicarcela? Questo sarà l’argomento dei prossimi appuntamenti nella nostra rubrica “Le Memorie e i Viaggi”.

uno scavo archeologico alla ricerca di memorie di un lontano passato

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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