#boomerlife. IL CALCIO AI TEMPI DEL BOOMER RACCONTATO DAL NOSTRO ROBERTO PARESCHI

Sento dire, da più parti, che il calcio è una importante industria (
sottolineo : industria) del nostro paese. E ogni volta che ascolto
questa considerazione mi sale dal di dentro una rabbia vera,
ancestrale, da uomo delle caverne. Poi però capisco, leggendo
certe cifre che probabilmente quella affermazione è proprio vera.
Il calcio serve all’economia, ai molti che lavorano dentro e attorno a
quel mondo dorato e anche allo stesso stato che incassa una
grande quantità di tasse.
E allora ancora una volta non posso fare a meno di considerare che
il confronto tra l’oggi e il ieri sia uno specchio riflesso del mondo in
cui vivevamo e in cui oggi viviamo
C’era in campo, durante i miei tempi giovanili, meno aggressività (
e quindi meno corsa) e più ricerca della giocata ad effetto. L’aspetto
estetico era insomma molto curato ed apprezzato rispetto ad oggi
dove invece si bada soprattutto all’aspetto tattico e alla aggressività
esasperata. Non è forse questa una perfetta immagine di due
mondi lontani anni luce tra loro ? L’ingenuità “boomer” del dribbling
fine a se stesso e della sua poesia ( specchio fedele di quel
mondo un poco approssimativo e senz’altro ingenuo) contro la
attuale ricerca asettica del risultato, in ogni aspetto della vita
sociale e sportiva, a prescindere da ogni altra considerazione
estetica o di metodo.
Esistevano un tempo giocatori “uomini”, simboli di una certa
squadra e di una certa città. Giocatori che rimanevano per una
intera carriera a giocare nella squadra del cuore, rinunciando
magari ad ingaggi più sostanziosi ed a una maggiore visibilità.
Oggi esistono solamente “ i lavoratori del calcio” e vale sempre e
comunque la legge del “ miglior offerente”. Nessuna poesia.
Nessuna considerazione di una maglia che per migliaia di persone
ha voluto dire speranza, sogni, una occasione di riscatto.

Infine i soldi. Anche il giocatore “ boomer” guadagnava bene anche
se spesso non benissimo. E cosa ancor più strana, quasi sempre si
vergognava di incassare non facendo altro che giocare. Le auto
erano assolutamente discrete. La vita privata un argomento che
non doveva interessare. La donna della vita era la moglie. Nessuna
ostentazione era permessa. Oggi il giocatore è una sorta di divinità.
Un ragazzo con un conto in banca da capogiro che vede nel calcio
un mezzo per realizzare la sua ambizione economica e non anche
una missione da dedicare ai sogni dei tifosi. E che comunque
neppure tenta di coniugare i soldi con la maglia indossata.
Cosa è meglio e cosa è peggio ?
Io ho già fatto la mia scelta. Sto dalla parte dei giocatori “ che
giocano” e mai starò con i “giocatori che lavorano”
Voi fate tranquillamente quello che vi pare.

Roberto Pareschi-reporter cooperator contg.news

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: