Si avvicina il periodo estivo e mi perdonerete se oggi mi soffermerò
a ricordare le mie “ tragiche “ vacanze estive diretto al mare, in
compagnia della mia famiglia.
Ma andiamo con ordine.
La partenza era rigorosamente fissata alle 4 del mattino, minuto
più minuto meno, per evitare code, ingorghi o chissà quali altri
tragici avvenimenti. Il tempo stimato per il viaggio, ad una velocità
massima di 90 km all’ora, era di almeno cinque ore poiché ancora
non esistevano le autostrade e dunque era necessario “scavallare” i
monti liguri.
C’era poi la questione bagagli. Le operazioni di imballo iniziavano
almeno una settimana prima della data stimata per la partenza.
Poiché le auto di allora erano per nulla spaziose, risultava davvero
arduo stipare in un bagagliaio quasi inesistente valigie , conigli e
galline offerte dai nonni, pasta “ perché a Torino costa meno” e altri
generi di prima necessità.
Poi finalmente veniva il momento della partenza.
Non mi vergogno di dire di avere effettuato alcuni viaggi diretto al
mare con la mitica Bianchina “ di Fantozzi”. In realtà un vero e
proprio lusso per le famiglie di allora. Ma purtroppo si trattava di un
mezzo per nulla affidabile. L’avvio del motore era già da solo una
scommessa. Una volta avviata, l’utilitaria iniziava sferragliando la
sua grande avventura. Erano prevedibili e preventivati alcuni
inconvenienti. Il motore che spesso fumava e che dunque obbligava
a conservare nell’abitacolo una cospicua scorta di acqua da
aggiungere, alla bisogna, al radiatore. La possibilità che la pioggia
mettesse a nudo le crepe del tettuccio di plastica. Il sole che una
volta spuntato rendeva l’abitacolo un forno domestico utile per la cottura dei cibi.

I freni, che in discesa dovevano essere usati il
meno possibile, per evitare che anch’essi si surriscaldassero.
Mio padre guidava in religioso silenzio, concentrato sulla strada, e
non era permesso disturbarlo per nessuna ragione al mondo.
Eventuali richieste per “ fare pipì” venivano immediatamente bollate
come assurde.
Tutti eravamo impegnati ad ascoltare i rumori provenienti dal
motore, perché temevamo improvvisi blocchi. Blocchi che
avvennero in un paio di casi tanto che ricordo una discesa da un
monte “a motore spento”, operazione difficilissima e
pericolosissima, ma indispensabile per riuscire a trovare, a valle,
un meccanico.
Infine, quando finalmente compariva l’azzurro del mare, ci
sentivamo orgogliosi per avere superato senza danni una nuova
avventura.
Ora devo interrompere. Mio figlio mi attende sulla sua auto ibrida
supertecnologica. Andrà alle Maldive in aereo. Prima di salutarmi
mi fa capire che io sono un privilegiato perché ho vissuto negli anni
del boom economico e ho affamato le generazioni future.
Mi consolerò ripensando alla mia Bianchina e alla gioia che provavo
vedendo dopo un anno il mare ligure.
Roberto Pareschi- reporter cooperator contg.news