#storia&viaggi. Gli indiani d’America: storia di un silenzioso genocidio di Giulio Pavignano

Quante volte l’abbiamo visto nei western? Là sulla collina appaiono gli indiani, a cavallo l’uno a fianco all’altro, e poi emettendo il grido di guerra si lanciano al galoppo verso la pianura, mentre la diligenza o i carri tentano una fuga disperata. Oppure l’indiano arriva strisciando attorno alla fattoria: dentro, il coraggioso colono prende il fucile dalla parete e i piccoli si stringono alla mamma. E tutti sperano che la cavalleria arrivi in tempo per evitare lo scotennamento e la danza trionfante con la mano sulla bocca…

Nella realtà, le cose sono sempre andate in modo molto diverso da come il grande schermo le ha raccontate. Intanto, va detto che con il termine “indiani” -così chiamati perché, com’è noto, Colombo credeva di esser giunto alle Indie- si intende un composito insieme di popolazioni nomadi, seminomadi o in misura minore stanziali, le quali occupavano una vastissima area del nord America che andava dalle foreste degli Appalachi a quelle canadesi, dalle grandi pianure del West ai deserti dell’Arizona e del Messico settentrionale. Questi gruppi, divisi in tribù, non avevano uno Stato né alcuna organizzazione politica, vivevano di caccia, raccolta o più raramente agricoltura, e praticavano culti animisti.

I primi scontri con gli europei sono iniziati già con le colonie francesi (le più antiche) e inglesi nate sulla costa atlantica dal XVI secolo in poi. Ma la vera tragedia ebbe inizio con la nascita degli USA e la loro progressiva espansione dell’Ottocento verso il West. Considerati dei selvaggi privi di qualsiasi vero diritto sulle terre in cui vivevano, nel corso del secolo gli indiani vennero progressivamente privati della possibilità di muoversi liberamente per foreste e praterie, e costretti a vivere in territori sempre più ristretti. Nemmeno in quelli, peraltro, erano al sicuro, poiché se le terre loro assegnate interessavano a gruppi di coloni, o si scopriva in esse la presenza di miniere, i trattati erano spesso invalidati e le tribù costrette a stabilirsi altrove. Le poche vittorie militari indiane- tra cui la famosa battaglia del Little Bighorn, in cui l’esercito statunitense pagò a caro prezzo l’ambizione e l’imprudenza del tenente colonnello Custer- furono presto seguite da rappresaglie e massacri: alla fine del XIX secolo, in pratica tutti i gruppi indiani vivevano in territori controllati.

Oggi le cosiddette “riserve indiane” sono interessate da gravi problemi: disoccupazione, diffusa povertà, propensione all’alcolismo e, dal punto di vista culturale, perdita di tradizioni e stili di vita. Gli studi storici hanno però conosciuto una maggiore obiettività, e l’indiano cattivo –“l’unico buono è quello morto”- di molti western e di tanta faziosa propaganda dell’Ottocento è stato sostituito dalla figura dell’indiano vittima di un genocidio strisciante e progressivo, che fa sorgere inquietanti interrogativi sulle oleografiche leggende intorno alla “conquista del West”.

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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