Un pezzo di storia d’Italia: i Longobardi.

Benché tutti, più o meno, conoscano il termine “longobardi”, credo che esclusi gli storici non siano in molti a sapere quando e come le vicende di questo antico popolo abbiano incrociato quelle dell’Italia. Eppure essi hanno controllato parte della Penisola per circa 200 anni: pochi altri possono vantare un dominio altrettanto prolungato.

Originari dell’area scandinava, i Winnili assunsero il nome di Longobardi perché, secondo una leggenda, il dio Wotan, da loro pregato, diede la vittoria in battaglia al popolo “dalle lunghe barbe”, senza accorgersi che tra i guerrieri c’erano anche, per consiglio di sua moglie Frea, delle donne con i capelli sciolti sul volto. Con un cammino durato secoli, i Longobardi passarono dapprima in Danimarca, poi nell’area del Reno, poi in quella del Danubio, relazionandosi e a volte scontrandosi con quell’insieme di genti che si muoveva al confine dell’Impero Romano. Nel 568 d. Cr., guidati da re Alboino entrarono in Italia da est- da quel Friuli che resterà una delle regioni più segnate dalla loro presenza. I Bizantini, stremati dalla guerra con cui appena cinque anni prima avevano strappato l’Italia agli Ostrogoti, opposero una debole resistenza; nonostante ciò, i nuovi invasori non conquistarono tutta la Penisola, originando una situazione a macchia di leopardo in cui l’Italia del nord e due enclavi del centro sud (i ducati di Benevento e Salerno) diventarono longobarde, mentre il resto del Meridione (isole comprese) e una specie di corridoio tra Roma e Ravenna rimase bizantino. Ho parlato di Ducati perché quella fu l’entità politica in cui venne suddiviso il dominio: i re, infatti, dalla loro capitale Pavia non controllavano tutto, ma scendevano spesso a patti con i duchi delle varie zone.

Convertiti al cristianesimo nella confessione ariana, durante la permanenza in Italia divennero cattolici, su impulso soprattutto di una delle regine più celebri, Teodolinda. Ciò non impedì loro di entrare in contrasto con il papa ed il nascente Stato della Chiesa: il tentativo di ampliare i possedimenti in Italia centrale portò ad uno scontro con i Franchi, difensori del pontefice, i quali alla seconda discesa in Italia (774), guidati da Carlo che si avviava a diventare Carlo Magno posero fine al regno longobardo del nord, inglobandolo nei domini del nuovo Sacro Romano Impero. I ducati del sud resisteranno più a lungo, in precaria coabitazione con i bizantini, e concluderanno la propria esistenza solo ai tempi dei Normanni.



Popolo guerriero e feroce come tutti gli invasori, i Longobardi ci hanno lasciato tantissime testimonianze della loro secolare presenza: splendidi luoghi d’arte come il Tempietto di Cividale, la chiesa di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio o il santuario Garganico di san Michele; tombe ricche di corredi funerari in cui appare la loro grande abilità orafa e artistica in generale; molte parole, soprattutto bisillabe, come zuffa, biacca, bara, o indicanti parti anatomiche come guancia, anca, milza; un grande codice di leggi, il celebre Editto di Rotari, che superava la faida come criterio di risoluzione dei conflitti. E se per caso andiamo a Fara Novarese, ricordiamo che Fara -toponimo diffuso anche in altre parti d’Italia- deriva dall’unità militare di base longobarda, la fara appunto, da un antico germanico faren “marciare”.

Prof. Giulio Pavignano- contg.news

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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