Poiché in molti dei prossimi interventi, d’accordo con il Direttore, accanto alla storia ecclesiale tratterò fatti e situazioni legati alla storia dei popoli, delle culture e delle idee, mi sembra opportuno un chiarimento sul significato di due termini che spesso vengono usati impropriamente come sinonimi: Stato e nazione.
Partiamo dal primo. Lo Stato è un’entità giuridica e polit*ica, limitata da confini ben precisi che la separano da altre realtà simili. Nel territorio compreso all’interno di tali confini, esistono leggi finalizzate ad un’ordinata e pacifica convivenza che tutti gli abitanti debbono rispettare: ad esempio, l’obbligo scolastico per i minori, o il pagamento delle imposte. Tali leggi sono emanate dalle autorità che governano lo Stato, e che, negli Stati democratici, sono state elette dai cittadini stessi. Non tutti gli abitanti di uno Stato hanno la stessa condizione giuridica: alcuni sono cittadini, altri non lo sono (in genere perché originari di altri Stati), ma sono tutti tenuti a rispettare le regole del territorio in cui vivono (ad esempio, anche se io provengo da un Paese in cui non si pagano tasse, se risiedo in un altro in cui le tasse esistono devo comunque pagarle).

La nazione, invece, non è una realtà politico-giuridica, ma si configura come una categoria culturale. Appartengono alla stessa nazione le persone che parlano la stessa lingua, condividono storia, usi e costumi simili e, nella maggior parte dei casi, praticano anche la stessa religione: il vincolo che le unisce non nasce dal luogo in cui vivono – anche se nella maggior parte dei casi è il medesimo -, ma dal fatto che hanno le stesse radici e si sentono parte di una stessa comunità umana e culturale.
Se questa spiegazione, per forza di cose molto sommaria, è vera, che cosa se ne deduce? Che ci possono essere persone che vivono in uno Stato, ma non appartengono alla nazione prevalente in quel territorio: uno svedese che vive in Italia può diventare cittadino italiano, ma non fa parte della nazione italiana, poiché le sue radici culturali sono altrove; e allo stesso modo, un emigrante italiano in Argentina o in Belgio non è più soggetto al nostro Stato, ma spesso conserva fieramente e gelosamente l’appartenenza alla nostra nazione. Naturalmente, generando figli e nipoti, presto o tardi è probabile che anche famiglie straniere assimilino usanze e stili di vita del Paese che li accoglie, e quindi entrino, almeno in modo parziale, a far parte di quella nazione.
Sperando di esser stato chiaro, e di non aver confuso le idee dei lettori, vi do appuntamento a qualche prossimo articolo, che svilupperà proprio questi temi.