Bjorn Borg è stato uno dei tennisti più famosi e al tempo stesso enigmatici della storia di questo sport. Ecco la storia dello svedese di ghiaccio.
Il suo primo rivale è stato la serranda del garage davanti a casa “vittima” per ore e ore dei suoi colpi di racchetta, John McEnroe la sua nemesi sui campi di tutto il mondo: Bjorn Borg non è stato un tennista come tutti gli altri.
Il “matto calmo”, definizione coniata per lui da Adriano Panatta, ha segnato un’epoca con la sua freddezza apparente che nascondeva un vulcano di emozioni e un gioco quasi matematico, partita dopo partita.
Fuori non lasciava trasparire una sola emozione, non muoveva un singolo muscolo facciale. Imperscrutabile. Dentro però aveva il fuoco e l’ardore del grande campione, quello che gli ha permesso di vincere slam a ripetizione fin dal suo esordio da giovanissimo. Wimbledon e Roland Garros sono stati il suo terreno di caccia prediletto, undici trofei complessivi nei due tornei che gli sono valsi la gloria eterna.
La sua rivalità con John McEnroe non è entrata solo nella storia dello sport, ma anche nella cultura sociale, come dimostrano i numerosi libri dedicati al tema e il film del regista Janus Metz Pedersen uscito nel 2017.
Il ribelle John contro l’uomo di ghiaccio Borg, due modi di vivere e due stili di tennis completamente diversi.
Quasi sempre è stato Bjorn ad avere la meglio, ma la vittoria di McEnroe nella finale di Wimbledon 1981 ha segnato profondamente la sua vita, seguita da un’altra sconfitta per mano dello stesso carnefice americano agli US Open (trofeo che non è mai riuscito a conquistare nonostante quattro finali).
Due battute d’arresto che l’hanno portato, il 22 gennaio 1983, ad annunciare il ritiro a soli 26 anni, nel pieno della sua maturità fisica ma l’eccessivo logorio mentale l’ha costretto a dire basta.
Già nel 1981 c’erano stati i primi sentori di un suo ritiro, ma è due anni dopo che ciò diventa realtà per la disperazione dei tanti tifosi di questo svedese dal sangue freddo e il cuore caldo.
Sette anni dopo, a sorpresa, Borg annuncia il rientro nel circuito, ma il tennis in sua assenza è cambiato drasticamente entrando in una nuova era. Le racchette in legno che l’avevano reso celebre sono superate, ma Borg non si adegua ai tempi e continua a giocare con la sua Donnay demodé.
La prima apparizione è a Montecarlo nel 1991 dove arriva la sconfitta per 6-2, 6-3 contro lo spagnolo Jordi Arrese. Un Borg completamente fuori forma e lontano parente del fuoriclasse che aveva vinto tutto nel decennio precedente, dopotutto non poteva essere diversamente.
Nel 1992 gioca otto match, tutti persi senza vincere un singolo set. Non serve a nulla provare ad adattarsi a una nuova racchetta più moderna, i risultati non arrivano.
Nel 1993 scenderà in campo altre tre volte, rimediando altrettanti ko con il match contro il russo Alexander Volkov (4-6, 6-4, 7-6) che segnerà il suo addio definitivo al tennis.
Nel frattempo la sua vita fuori dal campo è paragonabile alle montagne russe: dipendenze da droga, investimenti sbagliati (i maligni dicono che ci sia il bisogno economico dietro al suo ritorno nel circuito) e il matrimonio con Loredana Bertè che dura appena tre anni. Non si è fatto mancare nulla.
Il suo lascito al gioco del tennis è qualcosa di unico, un’eredità pesante che per classe ed eleganza è stata raccolta da Roger Federer, lo svizzero che ha portato la disciplina in una nuova dimensione.
Borg con il suo dritto top-spin e un rovescio bimane senza precedenti ha ottenuto quello che nessuno fino a quel momento aveva nemmeno pensato.
La finale di Wimbledon 1980 contro il rivale di sempre McEnroe rimane la partita della sua vita, vinta al tie-break al termine di una vera e propria maratona estenuante.
Un’icona di stile, uno dei primi sportivi a essere il volto commerciale di brand internazionali, un uomo che ha segnato la storia dello sport a 360°.
Stefano Villa-contg.news
