Albino Luciani nasce nel 1912 (primo papa nato nel XX secolo) a Canal d’Agordo, nel Bellunese confinante con l’ancora austriaco Trentino; il padre, al secondo matrimonio, ha alle spalle lunghi anni da emigrante in Germania, Argentina e Francia. Alla povertà e alla guerra, per il piccolo Albino si aggiunge una broncopolmonite bilaterale che rischia di portarselo via nel ’18. Intelligente e vivace, vero divoratore di libri, manifesta una precoce vocazione sacerdotale, per cui viene avviato agli studi al seminario di Feltre, dove comincia anche a collaborare con il settimanale diocesano “L’amico del Popolo”: primo indizio di quella passione per il giornalismo, i mass media e la “comunicazione” (soprattutto in ambito catechistico) che non lo abbandonerà per tutta la vita.
Divenuto sacerdote nel ’35, inizia il suo servizio come collaboratore parrocchiale e insegnante in seminario. Iscrittosi alla Gregoriana a Roma, conseguirà la laurea in teologia nel ’47, per varie interruzioni dovute alla guerra. Negli anni seguenti, continua a lavorare in diocesi, ricevendo vari incarichi e pubblicando anche un catechismo: “Catechetica in briciole”. Nel ’58, arriva il primo salto: nonostante alcune perplessità legate alla sua salute, è nominato vescovo di Vittorio Veneto da papa Roncalli. In tale veste, partecipa intensamente al Vaticano II; nel ’66 compie un viaggio apostolico in Burundi, in cui operavano alcuni missionari veneti. L’esperienza, breve ma intensa, rafforza ancor più la sua già grande attenzione al tema della povertà (qualche anno più tardi arriverà a proporre che l’1% degli introiti diocesani siano devoluti ai Paesi in via di sviluppo).

Nel ’69 arriva la nomina a patriarca di Venezia e cardinale (per cui sceglierà il significativo motto “Humilitas”). Seguono altri anni densi di vita pastorale e incarichi (tra cui la vicepresidenza della Cei), fino al conclave dell’agosto ’78, in cui, dopo un giorno solo, la sua elezione mette d’accordo i due contrapposti blocchi conservatore e progressista. Come tutti sappiamo, sarà un pontificato brevissimo: 33 giorni, che però furono sufficienti per indicare il cammino che il nuovo papa avrebbe percorso. Uno stile semplice e colloquiale: niente plurale maiestatis, niente incoronazione e uso ridotto al minimo della sedia gestatoria, il sorriso e l’affabilità come elementi distintivi dell’approccio con clero e fedeli. Un posto di rilievo all’amata catechesi, la “semente buona” che non ha bisogno di stile ampolloso: nelle poche, ma rimaste celebri, udienze pubbliche del mercoledì chiama al suo fianco come interlocutori bambini e chierichetti. Una teologia che rompe gli schemi: Dio è padre, ma anche Madre (Angelus del 10 settembre).
L’improvvisa morte, di notte, ha alimentato le dietrologie senza fondamento dei soliti complottisti. Ma invece di interrogarsi su chissà quali misteri intorno al decesso, sarebbe più saggio chiedersi dove avrebbe condotto la Chiesa se avesse avuto più tempo, e se anche lui sarebbe stato, con il suo sorriso, padre e madre per i cristiani nel mondo.
Giulio Pavignano-contg.news
