Una vita che ne vale dieci di quelle di una persona normale: Jan Ullrich ha vissuto un cammino in salita, non sempre riuscendo a scalare la montagna della sua esistenza.
Per raccontare il percorso nel mondo del ciclismo di Jan Ullrich è estremamente utile e interessante leggere la sua autobiografia uscita nel 2005 dal titolo “O tutto o niente”, un racconto a 360 gradi della sua vita fino a quel momento.
La bicicletta è stata sua fedele compagna di viaggio fin dall’infanzia, periodo non semplice con il padre che ha abbandonato la famiglia e la madre che deve fare due lavori per mantenere Jan e i suoi fratelli.
E poi gli inizi da dilettante nell’allora Germania Est dove dimostra grande talento per le due ruote a pedali, unito a una forza muscolare veramente fuori dal comune, un fisico d’acciaio tedesco resistente e inossidabile.
I riconoscimenti arrivano a pioggia, il più importante la vittoria del Campionato del Mondo dilettanti a Oslo nel 1993. Un successo che gli apre le porte del professionismo.
La Deutsche Telekom (squadra dove milita per tutta la carriera, con un breve passaggio alla Bianchi nel 2003) punta su di lui e nel giro di pochi anni Ullrich diventa il capitano della squadra, centrando la vittoria al Tour de France del 1997 e alla Vuelta del 1999, oltre all’Oro alle Olimpiadi di Sidney 2000 e le due vittorie a cronometro nei Mondiali 1999 e 2001.
Un palmares di tutto rispetto che gli consente di diventare un personaggio pubblico molto famoso anche al di fuori del ciclismo. E qui iniziano i problemi.
Già nel 2002 viene sospeso per una positività a un test antidoping dovuto, per sua ammissione, all’aver ingerito due pillole non ben identificate nel corso di una festa in un momento della sua vita molto particolare. La depressione ha bussato alla sua porta in seguito a un problema cronico al ginocchio che gli impedisce di gareggiare.
Otto anni dopo il suo è il nome più roboante della celebre “Operacion Puerto”. Ullrich inizialmente nega ogni coinvolgimento, ma dopo la confessione del suo ex ds Rudy Pevenage è costretto ad ammettere l’utilizzo di sostanze dopanti nella parte conclusiva della sua carriera, con conseguente annullamento dei risultati ottenuti dal 2005 al 2007.
I successi migliori rimangono nel palmares, ma la sua immagine è irrimediabilmente compromessa.
A risentirne maggiormente è la sua vita privata: risse, indagini per tentato omicidio ai danni di una prostituta, ricoveri in cliniche psichiatriche per risolvere le sue dipendenze da alcool e droga, un declino rapido dal quale Jan Ullrich sembra non riuscire ad alzarsi ancora oggi.
Nella settimana in cui il mondo del ciclismo piange la morte di Davide Rebellin e nel giorno del suo 49esimo compleanno l’augurio che possiamo fare al ciclista di Rostock è di risalire metaforicamente in sella e riconquistarsi la sua vita.
Molte volte ha centrato l’obbiettivo nel corso della sua vita da atleta, seppur non sempre con metodi ortodossi, ma ora è tempo di ridare un senso alla sua esistenza che, parafrasando Vasco, in questo momento un senso non ce l’ha.
Tutti gli amanti del ciclismo non possono che fare il tifo per il Kaiser Jan Ullrich, il più forte ciclista tedesco di sempre.
Stefano Villa – giornalista
