#storia&fede. PIO XI E LA CHIESA DI FRONTE AI TOTALITARISMI

“Alpinista e bibliotecario”: così, con un pizzico d’orgoglio, Achille Ratti (Desio 1857) definiva sé stesso, forte delle sue scalate (Cervino, Rosa, Gran Paradiso, Bianco, anche su vie nuove) e dei suoi anni come bibliotecario e prefetto all’Ambrosiana prima (fino al 1914) e alla Vaticana poi. Ma era anche stato uno studente modello, laureato in teologia, filosofia e diritto canonico, e brillante matematico, tanto che qualche suo superiore avrebbe preferito indirizzarlo all’approfondimento della matematica piuttosto che alla teologia a Roma. A tutto ciò va aggiunta l’attività pastorale svolta in Lombardia dal 1882 come cappellano, docente in seminario e assistente degli spazzacamini.

Dopo la guerra, venne strappato alle biblioteche per una missione in Polonia, dove i rapporti tra clero tedesco e polacco erano complicati dall’invasione sovietica. In un quadro davvero complesso, si mosse con grande energia; il suo incarico però ebbe breve durata, poiché nel ’21 venne nominato arcivescovo di Milano e poco dopo anche cardinale. La sua permanenza sulla cattedra ambrosiana fu però ancora più ridotta: appena un anno più tardi, alla morte di Benedetto XV, in un Conclave bloccato tra opposte fazioni divenne il candidato di compromesso e al 14° scrutinio Ratti fu eletto papa, dando l’annuncio dalla loggia esterna e non nel cortile (segno di una volontà di dialogo con lo Stato?).

Il suo pontificato -è inutile girarci intorno- sarà caratterizzato, e valutato, soprattutto dai rapporti con i regimi totalitari dell’epoca, in particolare, ovviamente, con il fascismo italiano. Sul tema delle relazioni tra Chiesa e totalitarismi, che è troppo vasto per esser affrontato qui, mi riprometto di tornare nel prossimo futuro: mi limito ora a pochi cenni. Il primo è sui Patti Lateranensi, che chiusero dopo cinquant’anni la questione romana e decretarono la nascita della Città del Vaticano (1929): si trattò di un compromesso su cui ognuno è libero di dare un giudizio, ma sul quale pesano le parole del papa che, poco dopo la firma, in un discorso definì Mussolini “l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale” (non, dunque, “l’uomo della Provvidenza”: ma la frase rimane certo incauta). Si scontrò invece con il regime per le ingerenze fasciste sull’Azione Cattolica, sciolta dal governo nel ’31. Anche col nazismo, per tutelare la Chiesa, stipulò un Concordato, che però Hitler violerà di continuo, ignorando le proteste vaticane e spingendo il papa a pubblicare (’37) la celebre enciclica “Mit Brennender Sorge”, “Con viva preoccupazione”. Ferma fu la condanna del comunismo, e negativo fu anche il giudizio sulla Spagna franchista.

Da arcivescovo, aveva inaugurato l’Università Cattolica di Milano, che da pontefice continuerà a promuovere. Ostile all’antisemitismo nazista (conosceva bene, fra l’altro, la lingua ebraica), negli ultimi anni demandò ad alcuni teologi un’enciclica contro il razzismo, che però non vide mai pubblica luce: la cosiddetta “enciclica nascosta” (ed anche su questa torneremo). Infine, ricordiamo che sotto il suo pontificato vengono canonizzati don Bosco e il Cottolengo.

Giulio Pavignano -scrittore

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