Universo tra pensiero e coscienza: seconda parte. Interessante articolo di Luca Roverselli.

l’autore Luca Roverselli

I decenni che vanno dall’inizio del XX Secolo agli anni Trenta sono stati tra i più gravidi della storia dell’uomo per la qualità delle scoperte nel campo dell’indagine scientifica fondamentale. Come abbiamo visto nella prima parte di questo breve trattato, proprio in quegli anni gli scienziati si sono resi conto che al di sotto del velo delle nostre percezioni esiste un mondo che ha una consistenza e un modo di esistere totalmente diverso da tutto ciò che il genere umano conosceva e dava per scontato. Il celebre esperimento della doppia fenditura aveva mostrato al di la di ogni dubbio che la coscienza umana non poteva sbirciare all’interno di quel mondo. Se avesse provato a farlo, esso sarebbe svanito ai suoi occhi come accade agli incantesimi nelle favole. Tutte le certezze che derivavano dalla logica comune erano improvvisamente crollate e quell’età del pensiero fu nota da quel momento come l’epoca della perdita dell’innocenza. Le certezze dell’infanzia dell’uomo avevano lasciato il posto alla consapevolezza che esisteva qualcosa di più profondo di ciò che egli percepiva direttamente attraverso i suoi apparati sensoriali. Da qui, nel breve volgere di pochi anni, l’indagine si rivolse anche alla ricerca di cosa in effetti i nostri sensi percepissero.

i laboratori del MIT di Boston

Allora si ottenne un’ulteriore conferma di quello che il grande filosofo Immanuel Kant ci disse già alla fine del Settecento: noi uomini non vediamo com’è il mondo, ma ce lo rappresentiamo attraverso due forme pure a priori: quella che Kant definisce del senso interno, che si identifica con il tempo lineare – monodimensionale – e quelle del senso esterno, che si identifica con lo spazio tridimensionale. Ovverosia, i dati che entrano attraverso i nostri sensi – le afferenze sensoriali – non sono la visione di un mondo esterno reale. Essi non sono infatti una registrazione di tipo analogico di ciò che si palesa dinanzi a loro. Le neuroscienze, proprio nel XX Secolo, hanno mostrato che quelle entrate sensoriali non sono altro che impulsi elettrici che vengono poi elaborati all’interno del cervello che trasforma quel turbinio di correnti nella forma nota che assume per noi il mondo. In questo stadio entrano quindi in funzione le nostre forme pure a priori della percezione. In questo momento il mondo entra in contatto con il nostro stato di coscienza e assume le forme che la nostra coscienza è in grado di rappresentarsi. Quindi esistono due livelli attraverso i quali ci rimane nascosto il mondo reale. Non si tratta solo del fatto che la realtà profonda di tutto ciò che esiste è preclusa alla vista dell’uomo, come abbiamo compreso già dai primi decenni del secolo scorso dai risultati dell’esperimento della doppia fenditura. Si tratta di qualcosa di ancora più radicale. La stessa visione che ci appare ogni mattina quando apriamo gli occhi è infatti totalmente formata all’interno della nostra coscienza attraverso l’elaborazione dei dati sensoriali in entrata i quali sono costituiti da impulsi elettrici discreti.

il fisico britannico Peter Higgs

Entrano impulsi elettrici, e non paesaggi estesi o volti e suoni. Ma allora che “forma” ha l’universo reale? L’uomo è in grado di vederne un barlume? Il fatto che la realtà più profonda di tutte le cose debba essere immediatamente percepibile da parte di un essere umano, che è nato e si è evoluto in un particolare pianeta delle miriadi di corpi celesti esistenti, in un particolare momento della vita del cosmo e avendo sviluppato una propria gamma di sensibilità sensoriale, dovrebbe risultare già a prima vista sospetto. Quella che possiamo chiamare la larghezza di banda di tutto ciò che esiste deve essere ragionevolmente superiore a ciò che siamo in grado di vedere. Ma anche in questa semplice accezione, il pregiudizio intuitivo ha regnato per lunghi secoli. Inesorabilmente la visione che ci si palesava di fronte era reputata vera e genuina e quando in Occidente nascono le scienze, esse si sforzano di indagare meticolosamente ciò che è immediatamente visibile e tangibile.

il matematico Hermann Weyl che introdusse in fisica le simmetrie di gauge

A questo scopo, la fisica tentava di comprendere le leggi attraverso le quali la natura agiva e gli esperimenti che cercavano di determinare quelle leggi erano ideati all’interno di quel mondo che era a noi immediatamente visibile. Questa è l’essenza della fisica classica. Il ragionamento che tacitamente si dipanava all’interno delle menti dei ricercatori recitava: quello che vedo attraverso i miei sensi è una parte, seppur piccola, del mondo reale e se indaghiamo le leggi che regolano quel mondo, arriveremo pian piano a comprendere l’universo nella sua pienezza. Magari sarà necessario un tempo molto lungo, ma la rotta è quella giusta. Con il tempo i modelli attraverso i quali veniva descritto l’universo diventavano più complessi e affascinanti. Sul Principio di Relatività, enunciato da Galileo Galilei, vengono implementati da Albert Einstein agli inizi del Novecento, prima i fenomeni elettromagnetici nel 1905 e poi, nel 1916 viene esteso anche ai sistemi fisici accelerati, descrivendo la gravità su scala cosmologica. Si tratta di una delle più superbe vette del pensiero scientifico e rappresenta il massimo gradino raggiungibile, interpolando dalla visione intuitiva del mondo. Einstein conosceva bene i limiti dello stato di coscienza che caratterizza la nostra specie e dichiarava che il mondo come lo vediamo, è un’illusione, seppure molto persistente! Alla luce di tutto quello che abbiamo detto, gli scienziati cercarono di ideare quelli che nel gergo della fisica si chiamano “esperimenti cruciali” in grado di osservare l’esistenza fisica di una realtà al di fuori dalla rappresentazione illusoria che è propria dello stato di coscienza ordinario dell’uomo. Il primo fu proprio quell’esperimento della doppia fenditura di cui abbiamo parlato e che risale a quasi novant’anni fa. Da allora molta acqua è passata sotto ai ponti e oggi sappiamo con certezza che la struttura profonda dell’universo è totalmente diversa da ciò che siamo in grado di immaginare con la nostra più sfrenata fantasia. Anche i nostri pensieri più esotici e i nostri sogni notturni più stravaganti sono infatti sempre rappresentati all’interno del binomio di spazio e tempo. Il mondo reale è invece radicalmente diverso da quei concetti. I fisici sanno oggi che l’universo ha natura “non locale”. Questo è un concetto che non ha corrispettivi, neanche parziali, con tutto ciò di cui abbiamo esperienza. Espresso in modo molto immediato, con l’uso delle lingue delle quali disponiamo per comunicare, le quali si sono formate attraverso la simbolizzazione del nostro noto intuitivo, possiamo cercare definire la non località. Essa, dal punto di vista del conoscibile umano, è quindi la possibilità che un oggetto fisico possa trovarsi allo stesso tempo in una miriade di luoghi differenti e che le interazioni si possano diffondere a velocità infinita. All’interno di una rappresentazione spazio-temporale, questa risulta essere la descrizione linguistica dell’universo reale. Si tratta però pur sempre di una descrizione che utilizza i concetti di spazio e di tempo, per il fatto che la struttura stessa dei nostri pensieri e delle nostre lingue non è in grado di andare oltre.

Percy Williams Bridgman il padre dell’operazionismo

Esistono esperimenti, effettuati all’M.I.T. di Boston, replicati successivamente in tutto il mondo e dall’esito certo e non contestato, che confermano quanto abbiamo detto. Com’è “In Sé” l’universo, è qualcosa che risulta per definizione impossibile da visualizzare. Ogni conoscenza, per essere accessibile all’uomo, deve infatti sottostare all’azione di quelle forme pure a priori di cui ci ha parlato Kant tanti anni fa. In un linguaggio più attuale, possiamo dire che non possiamo raffigurarci nulla al di fuori dei concetti di spazio, tempo, massa-energia e un particolare tipo di simmetria, detta di gauge (in Inglese: scala di misura). Si tratta di una teoria dei campi nella quale la dinamica resta invariata dopo avere applicato localmente delle trasformazioni delle coordinate. L’introduzione di questo importante parametro si deve al matematico Hermann Weyl negli anni Venti del Novecento. Sappiamo quindi che ciò che vediamo è una menzogna autoreferenziale, generata dalla nostra mente cosciente. Ma esiste allora una prova sperimentale certa del fatto che siamo noi a rappresentarci la forma del mondo che riteniamo intuitivamente reale? La risposta è affermativa e per quella scoperta è stato assegnato il Premio Nobel per la fisica nel 2013 allo scienziato britannico Peter Higgs. La particella prevista dal fisico britannico era stata prodotta nei laboratori del CERN di Ginevra l’anno prima. Il bosone di Higgs è infatti una particella che ha un ruolo fondamentale all’interno del Modello Standard che, come dice il nome, è un modello attraverso il quale rappresentiamo il mondo fisico nella sua più intima struttura.

un imponente rivelatore all’interno dei laboratori del CERN di Ginevra.

All’interno di quel modello, la particella di Higgs, descritta inizialmente solo attraverso formalismi matematici, è in grado di garantire la coerenza dell’intera teoria, descrivendo il meccanismo attraverso il quale tutte le particelle massive acquisiscono fisicamente la massa. Ma non esisteva là, fuori dalle menti degli scienziati, una tale particella. Il fisico statunitense Percy Williams Bridgman, attivo nella prima metà del secolo scorso, aveva definito una nuova e potente logica. Secondo la logica classica, che si fonda sul modo intuitivo di conoscere le cose, i concetti derivano dagli oggetti e dai fenomeni.Per Bridgman invece i concetti sono il risultato dei processi che hanno portato alla loro creazione. Il suo approccio prende il nome di “operazionismo”. Attraverso un procedimento rigoroso possiamo quindi generare un concetto e ciò è possibile in ogni campo della conoscenza ma non solo. Per questo motivo, non possono esistere concetti assoluti e postulati certi e quindi anche quello, così radicato, secondo il quale noi vediamo il mondo così com’è e quel mondo non lo possiamo modificare. Se esso è reale ed esterno a noi, gli esseri umani non sono parte attiva nella sua rappresentazione. Ma se i concetti, compreso quello di mondo esterno alla coscienza, sono creati dall’intelletto, allora possiamo correggere quella nostra creazione fino ad ottenere un mondo percepito che risulti coerente. I formalismi matematici sono stati in grado di fare questo e il risultato è stato l’osservazione, in quel mondo illusorio di cui ci parlano da millenni i filosofi, di un’entità fisica che rinormalizza il modello attraverso il quale noi uomini ci rappresentiamo il mondo. Resta però ancora un passo: cos’è quindi i sé la coscienza? Questa, vedremo, è la domanda fondamentale e la tratteremo in un discorso a parte.

un laboratorio rinascimentale – molto più vicino al conoscere comune rispetto a quelli dei nostri giorni

Pubblicato da Emanuele Dondolin

Direttore Responsabile ed Editoriale di Contg.News Iscritto all'Ordine dei Giornalisti Pubblici

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