articolo a cura del Prof. Giulio Pavignano – Redazione
Grazie alle testimonianze dei sopravvissuti ai lager, tutti conosciamo la pratica nazista di tatuare un numero sul braccio dei prigionieri: una pratica disumanizzante che privava le persone della dignità, trasformando ciascuna di loro in un oggetto fra tanti. È forse meno noto che l’obbligo per gli ebrei di portare un segno distintivo, o un vestito particolare, sia stato imposto ben prima dell’epoca nazista: la consuetudine risale infatti al tardo Medioevo.

Il provvedimento che per così dire “fece scuola” venne assunto al Concilio Lateranense IV (1215: uno dei più importanti concili della Chiesa medievale). Al canone 68, si prescrive che gli ebrei abbiano un vestito diverso dai cristiani, per evitare che il mancato riconoscimento apra la strada ad un’unione sessuale promiscua da cui deriverebbero grandi danni (si ricordi che le normative vietavano ai cristiani di avere servi o nutrici ebrei, quindi è immaginabile quanto venisse disapprovata una coppia mista, per quanto occasionale). Da quel momento in poi, l’imposizione si estende un po’ dovunque; ecco qualche esempio che riguarda l’Italia. A Messina, nel 1221, una rotella gialla sul vestito; a Ravenna (1310) una rotella rossa; ad Ancona (1427) un grande segno giallo per i maschi, orecchini gialli per le donne; e ancora a Bologna (1452), Milano (1456), Sciacca (1420: si precisa che la rotella rossa dev’essere lunga un palmo), Venezia, dove nel XVI secolo il berretto giallo o rosso sostituì il segno tondo giallo “grande come un pane di quattro denari” in vigore dal 1394. Alcuni provvedimenti furono più dettagliati, come quello dell’imperatore Federico II (XIII secolo): un abito di lino chiuso, di colore celeste, sopra gli altri vestiti. Quasi ovunque, le pene per gli inadempienti erano prevalentemente multe in denaro.

Chi imponeva agli ebrei queste normative? Di solito, le autorità comunali e statali, spesso incoraggiate da vescovi o predicatori molto zelanti. Qualcuno, tuttavia, fece resistenza: nel Trecento, a Recanati il Comune si oppose alla richiesta di segno distintivo fatta dal vescovo, e nel 1451 in Sardegna venne approvata l’esenzione totale dal simbolo. Va inoltre specificato che vari ebrei influenti o legati alle autorità riuscirono talvolta ad ottenere l’esenzione dal segno per sé e per i famigliari, mentre altri che firmavano contratti di lavoro come medici o prestatori inclusero nelle clausole il privilegio di non portarlo. Le disposizioni di qualche governo più tollerante non modificarono però il quadro globale: il segno di riconoscimento ebraico divenne una consuetudine diffusa, uno dei tanti elementi del rapporto tormentato e difficile, sebbene mai del tutto interrotto, che ha legato le onnipresenti comunità della diaspora ebraica al mondo cristiano.