a cura di Luca Roverselli – storico
Tutte le grandi opere umane realizzate in un contesto che si trova in epoche e in luoghi completamente estranei alla nostra civiltà, abbiamo visto nel precedente articolo che hanno una valenza che rimane per noi non conoscibile, quando quei manufatti vengono rapportati al nostro consueto modo di percepire e di pensare le cose. Le ipotesi che riguardano il motivo per il quale sia stato compiuto un tale immane sforzo per la realizzazione di strutture che ci appaiono così maestose, insieme alle congetture che possiamo fare per tentare di determinare quale fosse la loro stessa funzione, discendono inevitabilmente dal nostro modo di concepire la realtà. La nostra civiltà è fatta così e i lunghi secoli durante i quali si è formato e si è evoluto il suo pensiero hanno plasmato le nostre menti a considerare reale solo ciò che rientra in certi canoni intuitivi e a vedere irrilevante o impossibile tutto ciò che si discosta da essi. Così è stato per oltre due millenni. Le ipotesi che il possente cerchio di pietra di Stonehenge rappresenti una struttura templare o un antico osservatorio astronomico deriva infatti proprio da un’estrapolazione che tendiamo a compiere utilizzando come base indiscussa delle nostre ipotesi ciò che è noto alla nostra cultura. Se riflettiamo però anche solo un momento possiamo comprendere che un tale modo di procedere, nell’indagine che dovrebbe condurci alla conoscenza di culture immensamente diverse dalla nostra, è di fatto destinato al fallimento.

Per ciò che riguarda l’ipotesi dell’osservatorio astronomico è facile capire che il rilevamento della posizione degli astri richiede che gli appositi elementi che lo costituiscono si trovino opportunamente posizionati ma il fatto che tali elementi debbano per forza essere costituiti da blocchi di pietra del peso di 50 tonnellate dovrebbe essere quantomeno sospetto. Lo stesso scopo è infatti ottenibile con l’utilizzo di componenti ben più leggeri e più facilmente maneggiabili. Non è necessario trasportare migliaia di tonnellate di pietre per decine o centinaia di chilometri e tantomeno è necessario che la struttura sia realizzata posando in opera singoli elementi così grandi e pesanti ma essa poteva essere semplicemente realizzata costruendo un edificio che presentasse la stessa forma che osserviamo ma costruendolo con una moltitudine di pietre più piccole. Un grande palazzo è infatti costituito da piccoli mattoni. Perché allora osserviamo un simile dispiegamento di risorse? La risposta non è semplice. Tutte le risposte semplici e facilmente intuibili patiscono infatti del difetto di non essere altro che estrapolazioni del nostro modo ordinario di pensare che cerchiamo di calzarlo a calci dentro a qualsiasi manifestazione dell’opera umana e dentro ad ogni legge naturale. Questo modo di procedere, mai dichiarato esplicitamente, è stato il protagonista nascosto in ogni tipo di indagine condotta dall’uomo per oltre due millenni. Una tale procedura di ricerca è stata spinta fino ad indagare la struttura stessa dell’universo: si è sempre cercato di spiegare le origini e la natura del mondo assumendo come postulato fondamentale il fatto che ciò che il nostro occhio osservava sia la struttura più intima e reale delle cose.

Questo è avvenuto fino all’alba del XX Secolo e proprio prima di quella data si sono formate tutte le idee e sono state formulate tutte le ipotesi che riguardano la natura di quelle antiche culture e di quelle civiltà che hanno abitato la Terra prima di noi. Il passo era difficile ma la grande rivoluzione è poi avvenuta. Essa è stata profonda e repentina ed è stata possibile quando i due grandi filoni del pensiero umano si sono toccati e si sono fusi insieme come due grandi macchie di olio che, espandendosi, si intrecciano indissolubilmente. I due canopi del pensiero sono, da una parte quello della filosofia e dall’altra quello che si occupa dello studio della natura nei suoi costituenti più fondamentali, ruolo deputato alla fisica.

Proprio all’inizio del secolo scorso infatti si è compreso che la struttura più intima della realtà non risiedeva nella visione di quel grande universo che vediamo dispiegarsi davanti al nostro sguardo. Si è capito che non è possibile spiegare tutto utilizzando sempre gli stessi concetti familiari e servendosi sempre degli stessi schemi di pensiero. La struttura più intima delle cose non può trovare posto all’interno di quelle rappresentazioni semplicistiche e immediatamente intuitive. Verso l’inizio del Novecento si è compreso che per spiegare alcuni nuovi aspetti del mondo fisico che erano venuti recentemente in luce era necessario rinunciare per sempre al modo confortevole e rassicurante di descrivere la natura del mondo. In quegli anni si è compreso che molte domande potevano ottenere così una risposta. Serviva un altro paradigma – modello – che descrivesse la realtà e un tale modello descrive inevitabilmente il mondo reale in maniera non immediatamente percepibile dai rappresentanti della nostra specie. Quella realtà si trova invece lontano dallo sguardo dell’uomo, in una dimensione infinitesimamente piccola, dove quelle leggi che fino ad allora erano state estratte per interpolazione da ciò che è noto alla nostra intuizione non valevano più. Stiamo parlando della moderna fisica quantistica nella quale la realtà profonda resta per definizione inosservabile, mentre quando l’osservatore si affaccia sul mondo, vede ciò che il suo stato di coscienza gli permette di scorgere.

Nel caso dell’uomo attuale la visione del mondo è sempre rappresentata all’interno di uno spazio tridimensionale ed è scandita da un tempo lineare – monodimensionale. Ma non è sempre stato così. L’attuale concezione del mondo è infatti mediata da una logica che deriva dalla lunga filogenesi che ha visto evolversi la nostra attuale civiltà. In tempi lontani le cose erano però assai diverse. Pensare che in ogni epoca, ogni cultura e ogni civiltà si sia evoluta passando attraverso la stessa concatenazione di esperienze e di pensieri ed abbia in tal modo elaborato la medesima rappresentazione dell’universo è quantomeno un’ipotesi da sprovveduti. Le grandi culture del remoto passato avevano in effetti una visione del mondo che ai nostri occhi risulterebbe irriconoscibile. Per quegli uomini la “larghezza di banda” percepibile della natura appariva diversamente posizionata e per loro la presenza delle fonti d’acqua, la pressione del vento, il magnetismo naturale che pervade il pianeta e la gravità che agisce sulle masse avevano un valore e un grado di presenza nelle loro percezioni totalmente diverso da come è per noi. Essi, percependo tutto ciò, realizzavano quelle opere maestose che erano in grado di incanalare e di sfruttare quelle forze presenti in natura. Sarebbe un errore imperdonabile il tentativo di restringere tutta la grandezza delle loro opere dentro ad alcuni modelli di pensiero fritti e rifritti solo perché risultano immediatamente comprensibili e sono rassicuranti per il nostro modo di vedere le cose. Tutto quanto abbiamo detto riguarda anche la tecnica di realizzazione di quelle costruzioni monumentali. La ricerca, l’estrazione, il trasporto e la posa in opera di titanici blocchi di pietra, che ai nostri giorni richiederebbero il dispiegamento di notevoli risorse e l’utilizzo di un trasporto eccezionale per ogni elemento, pone seri problemi per una comunità umana che poteva fare affidamento su alcuni rulli in legno e su qualche animale da soma.

I blocchi dovevano poi essere trainati per decine o centinaia di chilometri e successivamente sollevati e posizionati. Nel caso di Stonehenge una costruzione realizzata in questo modo sarebbe ancora possibile in linea di principio, pur dovendo occupare per la sua realizzazione l’intera popolazione per decenni, se tutto il materiale fosse stato reperibile nelle immediate vicinanze del cantiere ma con i materiali che provengono da distanze anche considerevoli, la logistica sarebbe stata a tutti gli effetti pratici proibitiva. Enormi squadre di operai, per poter lavorare, devono infatti essere adeguatamente nutrite e dissetate e rifornire costantemente simili siti ricolmi di una moltitudine di lavoratori per un tempo molto lungo sarebbe stata di fatto un’impresa impossibile. Se oltre a tutto questo pensiamo che i siti di estrazione della pietra erano di fatto lontani dall’area del cantiere, dobbiamo renderci conto che esistono seri problemi per ritenere che i fatti si siano svolti in quel modo. Ci sono poi altre opere monumentali per le quali il taglio di un solo blocco e la posa in opera di uno solo degli elementi che la costituiscono sarebbe stata assolutamente impossibile. Di questo parleremo nel prossimo appuntamento con “I Grandi Monumenti” e vedremo come i popoli che li hanno realizzati fossero in grado di utilizzare le forze presenti nella natura per realizzare, nel mondo, le forme che nascevano dal loro pensiero.
