Una nazione che nel calcio ha fatto del carattere e della passione i suoi tratti distintivi.
I tifosi dell’Uruguay li riconosci al primo sguardo, un tifo vero e pieno di tanta passione che ha radici profonde. In Uruguay il calcio non è e non sarà mai una religione ma addirittura qualcosa di più.
Una frase di Edinson Cavani, uno dei migliori bomber della storia uruguagia, racchiude nel migliore dei modi la cultura calcistica del paese sudamericano: “In Uruguay dove c’è uno spazio vuoto facciamo un campo da calcio”, e questo ci fa capire come una nazione con soli tre milioni di abitanti abbia avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nella storia di questo sport.
Dal primo Mondiale della storia vinto in casa nel 1930 al Maracanazo del 1950 quando Alcides Ghiggia fece piangere l’intero Brasile (celebre la sua frase: “Solo tre persone sono riuscite a zittire il Maracanà: Frank Sinatra, Giovanni Paolo II e io”), l’Uruguay ha sempre mostrato quella aggressività da calcio del barrio che, unita a una tecnica sopraffina, ha portato molti amanti del football a tifare per la Celeste.
Genio e sregolatezza, classe e follia, tutti elementi ben presenti nel DNA uruguagio rappresentati nel migliore dei modi da giocatori come Josè Nasazzi, Josè Leandro Andrade, Juan Alberto Schiaffino, Obdulio Varela, Enzo Francescoli, Alvaro Recoba, Diego Godin e Luis Suarez. Pedine di uno scacchiere più grande che ha sempre qualcosa di affascinante.
Nel calcio moderno l’Uruguay ha perso un po’ di competitività ai massimi livelli, ma lo spirito di sacrificio e l’appartenenza rimangono ben presenti e questo rimane uno degli aspetti più romantici e distintivi della Celeste, una nazione da cui tutti devono imparare qualcosa in ambito sportivo.
Stefano Villa – reporter cooperator
L’opinione sportiva di Stefano Villa: QUELLO CHE DOBBIAMO IMPARARE DALL’URUGUAY
