Altezza Reale, come si sente pellegrino?
Mi sento responsabile e pellegrino per tutta la vita.
Pellegrino in quanto persona, in quanto cristiano, in
quanto cattolico, in quanto componente di una famiglia
millenaria che conta sei Beati e tanti Venerabili e Servi
di Dio, perché la categoria del pellegrino è utilizzata da
San Pietro per descrivere la nostra condizione. Noi su
questa terra siamo solo di passaggio. Ci sono dei brani
dei Vangeli molto belli, dove si parla dell’andare leggeri.
Quindi il senso dell’essere pellegrino anche quando
svolgi un servizio istituzionale è avere consapevolezza
che comunque sei di passaggio, che dai un contributo e
che il tuo sguardo deve andare oltre il presente contingente. La categoria del pellegrino è molto utile anche
per relativizzare il servizio, in senso buono. Non vuol
dire fare con meno impegno, ma con la giusta prospettiva: tu non sei il proprietario di un servizio ma sei, come
dice la formula latina, pro tempore (temporaneamente). Prima di te l’ha fatto qualcun altro e dopo di te lo farà
qualcun altro. In termini umani è un aiuto per non immaginarsi né sovraccarichi né più importanti di quello
che realmente siamo. In termini cristiani è un aiuto a vivere umili e ad agire fidandosi di Dio, come fece Elena del Montenegro, mia bisavola.
Recentemente l’Associazione Internazionale Regina Elena, che lei presiede da 31 anni, ha pubblicato un testo
che ricorda lo spirito dei suoi pellegrini in generale e in Terra Santa in particolare.
Non era la prima volta ma era necessario ricordare quello spirito: un pellegrino non è un turista. Chi ci accompagna non fa il “Grand Tour” dell’Ottocento e deve capirlo bene prima di qualsiasi richiesta di partecipazione. Per esempio, da 40 anni abbiamo scelto di vivere le condizioni dei chierici e andiamo solo in case religiose. Chi preferisce gli alberghi stellati e lussuosi per quest’esperienza non deve venire con noi perché i loro
intenti, pur rispettabili, sono diversi da quelli del sodalizio.
E’ impressionante toccare con mano quanto i luoghi santi siano importanti per i cristiani che li visitano per la
prima volta. Ci sono persone che risparmiano per anni per poter pregare a Nazareth, a Betlemme e al Santo
Sepolcro. Se non lo si capisce, è inutile proseguire. Fare un pellegrinaggio in Terra Santa significa mettersi in
cammino e convertire il viaggio fisico un “cammino dell’anima”, per camminare su questa terra con il cuore, l’anima e la mente in ascolto, per giungere ad un incontro. La Terra Santa è, secondo un’espressione di
Renan, il Quinto Vangelo. In Terra Santa, il pellegrino si trova in una posizione privilegiata per ascoltare la
parola di Dio, poiché qui la Parola ha preso corpo. La Bibbia deve essere la guida principale.
Al suo ritorno in patria, il pellegrino diventa un portavoce del “Vangelo di Terra Santa”.
Ci sono tanti altri motivi per visitarla: dalla storia all’archeologia, dalla cultura al turismo. Scelte rispettabili, ma che non corrispondono allo spirito dell’Associazione, che non propone viaggi turistici e culturali
ma pellegrinaggi, durante i quali, pur non essendo questo l’obiettivo primario, si scoprono anche bellezze
storiche e naturali.
Deve essere un impegno gravoso organizzare logisticamente questi pellegrinaggi.
Possiamo vantare una lunga esperienza e ci occupiamo esclusivamente dell’accoglienza, gratuitamente.
La parte commerciale è svolta da professionisti, con i quali condividiamo lo spirito e lo stile, improntato al
soggiorno nelle case religiose.
La particolarità dei nostri pellegrinaggi è che ogni partecipante deve portare con sé almeno due chilogrammi
di aiuti, scelti in una lista di prodotti autorizzati dallo Stato che accoglie i pellegrini. E proprio i pellegrini
sono coinvolti nella distribuzione dei loro aiuti a orfanotrofi, scuole, strutture sanitarie e luoghi di ricovero
per anziani e disabili. Molte di queste strutture sono dirette da religiosi italiani ed europei, ma anche tanti
cristiani orientali che dedicano la loro vita a Dio e al prossimo. E’ un’esperienza commovente che rimane un
ricordo indelebile in tutti e fa crescere delle vocazioni di volontariato al ritorno in Europa.
Il pellegrino otterrà i frutti del suo viaggio solo se lo animerà di carità. La carità va messa in pratica durante il
viaggio aiutando chi ne ha bisogno, condividendo i nostri alimenti, il tempo e le speranze. La carità si esplica, altresì, nelle offerte ai poveri e nell’aiuto ai pellegrini infermi. La primitiva comunità cristiana aveva “un
solo cuore” e San Paolo si occupò di aiutare “i poveri di Gerusalemme”, organizzando una colletta per loro.
Solo con queste disposizioni dell’animo il pellegrino avrà la possibilità di incontrare Cristo nella Città Santa.
Incontro che è la ragione stessa del viaggio a Gerusalemme, nonché il sogno di ogni cristiano. Solo così si
potrà tornare alle radici della vita cristiana. Mettersi in cammino significa uscire dalle nostre case e tornarvi
cambiati, trasformati. Essere pellegrini significa partire con la speranza di tornare a casa come “uomini e
donne nuovi”, cercando di dare un senso a ciò che siamo.
Questo è il filo conduttore che unisce l’homo viator di tutti i tempi e di tutte le epoche.
Ci sono dei problemi logistici?
Pochi, a parte quelli legati alle operazioni militari che potrebbero mettere in pericolo le persone. Ovviamente,
in quei casi rifiutiamo di far correre dei rischi e sospendiamo il nostro intervento.
Dall’inizio del 2025 avevamo ripreso i pellegrinaggi limitandone le città e i santuari. Da due mesi abbiamo
interrotto tutto.
Ci adattiamo alle situazioni. Per esempio, durante il Covid e la chiusura delle frontiere abbiamo accolto a
Gerusalemme molte persone che vivevano nella Città Santa o nei luoghi limitrofi, personale amministrativo e
militare, diplomatico e consolare, insegnanti, guide, organizzazioni internazionali etc.
Non nutrendo alcun interesse economico e/o finanziario, con umiltà siamo a disposizione di chi condivide i
nostri valori e lo spirito della nostra azione.
Oltre all’aspetto spirituale cosa la coinvolge maggiormente?
Sono molto vicino a tutte le strutture medicalizzate, che aiutiamo spesso, e al valore delle scuole cristiane:
mantenerle aperte vuol dire offrire una speranza per il futuro, perché lì si convive e si educa alla convivenza
tra persone di differente etnia, cultura e religione.
In questi ultimi anni, mi ha rattristato e preoccupato vedere crescere l’intolleranza, l’estremismo e la strumentalizzazione ideologica della religione in termini politici. Solo i giovani educati alla vera pace potranno
far uscire la regione di una guerra permanente, de jure o de facto, che impedisce di immaginare un futuro di
coesistenza pacifica in questa terra benedetta.
Non possiamo dire “Cristo è risorto” e poi voltare lo sguardo da un’altra parte.
Lei sottolinea la necessità della concretezza nei suoi interventi.
Da bambino ho vissuto in molti Paesi: dalla Francia al Regno Unito agli Stati Uniti all’Italia e ho molto viaggiato, in particolare nei Paesi del Mare Nostrum. Sono stato spesso in Libano, dove l’Associazione Internazionale Regina Elena ha una presenza caritatevole sin dalla mia elezione alla presidenza, nel 1994. Oltre trent’anni di aiuti diretti o tramite l’ONU. Per esempio, il mese scorso abbiamo consegnato a Prato Sesia (NO),
alla Brigata Alpina Taurinense e al Reggimento Nizza Cavalleria (1°), cinque container con più di 16.000
pezzi di aiuti umanitari, per una valore di oltre 123.000,00 Euro per la missione internazionale dell’Esercito
Italiano che inizia il mese prossimo nell’ambito dell’UNIFIL, a guida italiana dal 24 giugno 2025 con il Generale di Divisione Diodato Abagnara.
E’ stato il nostro 50^ intervento per il Libano e ringrazio le delegazioni provinciali di Novara e di Modena
che hanno provveduto alla raccolta, in particolare Rocco Guastella e Sauro Paciotti.
Siamo concreti e cerchiamo di aiutare direttamente, senza filtri, chi ha veramente bisogno, con umiltà, rigore,
sobrietà e trasparenza.
E in Italia?
Queste donazioni non sarebbero possibili senza la mobilitazione di tante persone per bene. Per esempio in
Emilia e in Piemonte: da oltre un decennio raccolgono giocattoli nuovi o in eccellenti condizioni, sia le catechiste della parrocchia di San Venanzio a Maranello, grazie all’iniziativa ed al coordinamento di Luisa Candeli, sia a Boves, Città Medaglia d’oro al Merito Militare ed al Merito Civile, martoriata dai nazisti, dove
l’amministrazione comunale coinvolge le scuole e la popolazione, sia a Sabaudia (LT), dove il “Comitato
Mariele Saggese” sensibilizza la comunità sulle attività medicali e su tante altre realtà.
Desidero rendere omaggio a tutte le strutture sanitarie, ricordando in particolare un’eccellenza che ha sede a
Roma: gli Istituti Fisioterapici Ospitalieri (IFO), che festeggeranno il loro centenario nel 2026 e dei quale fa
parte l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (inaugurato dalla mia bisavola). La Commissione Europea ha
valutato il suo reparto d’Urologia, diretto dal Prof. Giuseppe Simone, come il miglior reparto in Italia. E’ l’unica struttura a livello nazionale ad aver ottenuto il punteggio in tutte le categorie, con oltre 3.500 pazienti
trattati. Ebbene, da anni aiutiamo questo centro d’eccellenza internazionale, dove il personale di ricerca, medico e amministrativo non lavora ma presta un servizio fraterno di alta qualità scientifica e umana a tantissimi
malati e alle loro famiglie. E’ nella loro cappella che ho voluto aprire le celebrazioni per il 150° anniversario
della nascita della Regina Elena l’8 gennaio 2023, con una S. Messa molto commovente che ha unito autorità,
personalità, personale dell’IRE, PASFA e mondo del volontariato, per un vero pellegrinaggio in questo luogo
di sofferenza e di guarigione. Siamo sempre in contatto e seguiamo i progressi continui degli IFO grazie a
Lorella Salce, che con competenza e umanità fa conoscere i successi e i bisogni della struttura romana.
Ma non vanno dimenticate neppure le strutture più piccole, ma non per questo meno dedite all’assistenza dei
bisognosi. In particolare, desidero ricordare la “Casa Regina Elena” di Cuorgné, una struttura per ragazzi autistici, della quale ricordo benissimo l’inaugurazione.
Ed a proposito di collaborazioni?
Importanti le collaborazioni, specialmente in Lombardia, con il S.M. Ordine di Malta e con il S.M. Ordine
Costantiniano di San Giorgio, con i quali abbiamo effettuato molti interventi caritatevoli negli anni.
Ricordo in particolare, per avervi partecipato direttamente insieme al nostro compianto Presidente Onorario,
Barone Guidobono Cavalchini, ed al Presidente Nazionale, Gen. Ennio Reggiani, le donazioni d’attrezzature
medicali e di viveri a Milano al Reggimento delle Batterie a Cavallo, le gloriose “Volòire”, al convento dei
Frati Cappuccini di Bergamo (che gestisce un’importante struttura medicale ed una frequentatissima mensa
per i poveri) e in tante altre province: da Monza, a Varese, da Como a Brescia.
Come vi ponete in relazione con la cultura?
L’associazione non trascura però un’altra forma necessaria di carità: quella legata alla cultura.
Il sapere è alimento per l’intelletto ed aiuta lo spirito, perciò ogni attività che tutela il nostro patrimonio o ne
diffonde la cultura è da considerarsi benemerita. Non dimentico, a questo proposito, le tante iniziative su
tutto il territorio nazionale italiano ed all’estero, a molte delle quali ho partecipato con entusiasmo, come
quelle realizzate in Lombardia, ad esempio a Vigevano e Bergamo, o in Piemonte, con i nostri restauri nella
Certosa Reale di Collegno e nella Cattedrale di Alessandria.
Un altro settore è quello delle mostre, del quale si occupa direttamente, con competenza, successo ed entusiasmo, il Vice Presidente nazionale e Delegato per il Piemonte, Cav. Pierangelo Calvo.
Concludo con il “Comitato per la tutela del patrimonio e delle tradizioni”, che ho istituito nel 2004 per il
decennale della mia elezione. Sono attivissimi in quasi tutte le regioni e all’estero. Saluto particolarmente
quello della Campania, con Francesco Colonnesi, e del Piemonte con Andrea Carnino.
Lei parla spesso di convivenza.
Vivere in un contesto così obbliga a uscire continuamente dalla tua cultura per entrare in quella dell’altro, e
viceversa. È un interscambio continuo. Fin da piccolo mi ha sempre affascinato immaginare cosa ci fosse al
di là dei monti della Savoia, in Piemonte, dove non capivo perché mio nonno non poteva andare dov’era nato
e dove aveva servito l’Italia. Il concetto di esilio non è alla portata dei bambini e non dovrebbe esserlo a quella degli adulti, mai!
I miei soggiorni e viaggi mi hanno insegnato che quando vivi in un contesto marcatamente internazionale e
interculturale, devi continuamente uscire dalla tua cultura per entrare in quella dell’altro. Essere originari di
città diverse non deve portare al conflitto, ma alla condivisione di ricchezze e valori. Prendiamo un esempio
dalla Terra Santa: alla festa di Sant’Antonio a Jaffa, fedeli di ogni provenienza – arabi, europei, filippini,
indiani, africani, latinoamericani – pregano insieme e poi condividono canti e cibo. È un simbolo potente che
fa riflettere: in una zona che non trova pace ci sono delle oasi di pace grazie alla Chiesa.
Più di tutti i cattolici sono chiamati a portare la luce. A viverla. A testimoniarla. Non solo a parlarne, ma a
incarnarla.
I pellegrini sono dappertutto.
In quasi tutte le nazioni ci sono popolazioni e lavoratori migranti, mentre in altre ci sono anche i pellegrini:
dalla Terra Santa all’Italia, alla Spagna, alla Francia… Ovviamente tutte le situazioni sono diverse ma si capiscono meglio in quest’Anno Santo.
Il Giubileo ha un’origine ebraica e dunque un rapporto particolare con la Terra Santa dove i cristiani locali
sono una minoranza sofferente, in una logica di resistenza che spero non sia di resa ma di vita nuova. I pellegrini, venendo da tutto il mondo, incontrano altri cristiani da ogni parte del mondo. Qui riscoprono l’universalità della Chiesa, la sua origine «pentecostale», che nei loro paesi spesso non riescono a sperimentare. È
una ricchezza immensa da far conoscere e da preservare. La migliore sintesi per me è del Santo Papa Giovanni Paolo II: “Quanti ricordi, quante immagini, quanta passione e che gran mistero avvolge la parola Gerusalemme! Per noi cristiani rappresenta il punto geografico dell’unione fra Dio e gli uomini, fra l’eternità e la
storia”.
Pregare nei luoghi dove Gesù ha camminato cambia qualcosa?
I santuari riportano la fede dentro un ambito concreto, esistenziale. Sono un grande aiuto a non cadere in un
cristianesimo intellettualista e disincarnato. Sono un antidoto contro il razionalismo e l’intellettualismo religioso. E aiutano anche a capire la religiosità della gente. Gli intellettuali amano i ragionamenti, ma la gente
ama la concretezza. Ama baciare una pietra, sentire il profumo della mirra, vedere gli ulivi del Getsemani
(che hanno radici di 23 secoli e che sono stati testimoni della storia), la grotta di Betlemme, il Calvario e la tomba vuota. Il Santo Sepolcro non è solo un luogo della memoria. È il simbolo della risurrezione di Cristo e,
con essa, della speranza che nasce anche nei contesti più difficili.
La religiosità popolare è molto più vicina al mistero dell’incarnazione rispetto a quella di molti teologi laici
di professione. Per me l’esempio perfetto è la Sacra Sindone, per la quale ho una venerazione, che mio nonno
Umberto II ha donato a San Giovanni Paolo II.
I cristiani in Terra Santa sono sempre più minoritari.
I cristiani locali, soprattutto i giovani, debbono coltivare la loro identità come cristiani di Terra Santa. Non
devono puntare su identità etnico-politiche, ma su un’identità più profonda: essere custodi, con la benemerita
Custodia, dei luoghi santi. Molti luoghi sono stati recuperati grazie ai cristiani locali che ne avevano conservato memoria. C’è un’importante memoria orale. I luoghi santi sono parte essenziale della loro identità.
E’ importante raccontare il Vangelo nei luoghi del Vangelo, in priorità ai giovani. I luoghi santi appartengono anche a loro. Essere cristiani in Terra Santa è una vocazione e una missione. Se Dio ti fa nascere qui, ti sta
chiamando a essere luce e sale, proprio perché sei minoranza e il contesto è difficile. E Gesù ci ricorda che il
sale che perde il sapore non serve a niente.
Ha una vera ammirazione per la Custodia di Terra Santa.
La Custodia ha oltre otto secoli. E’ una fraternità dell’Ordine dei Frati Minori, che vivendo in Terra Santa
custodisce, studia e rende accoglienti i Luoghi d’origine della fede cristiana, e vivendo in essi annuncia le
meraviglie dell’amore di Dio, che proprio lì ha voluto farsi uomo per la salvezza dell’umanità. Oggi questa
fraternità si è allargata, così il Sacro Collegio. Ha un ruolo fondamentale e unico in una terra dove si litiga
per ogni metro quadrato su base etnica e culturale.
L’Associazione Internazionale Regina Elena l’ha aiutata finanziariamente, direttamente o attraverso i suoi
commissari, oltre che durante i suoi pellegrinaggi.
Quale futuro per i cristiani in Terra Santa?
Dopo la guerra in Siria, poi il Covid, poi un’altra guerra, il ruolo dei cristiani è sempre più importante. Ma è
essenziale anche che cristiani e no di tutto il mondo vengano in Terra Santa per conoscerla, capirla meglio e
aiutarla con la preghiera e con un sostegno concreto, anche per impedire una nuova emigrazione dei cristiani.
La loro diminuzione è drammatica e alcuni vorrebbero anche accelerare il loro esodo, per far sparire la loro
presenza.
Quale futuro per la pace?
Spero che ora i vari fronti possano chiudersi e ci sia finalmente un periodo di pace. Ma se non cambia la
mentalità, ci saranno solo tregue, non una pace vera. La pace richiede accettazione reciproca tra i due popoli
in lotta da decenni, e il superamento delle letture ideologiche della storia, della geografia e persino della Bibbia. E’ necessario insegnare la convivenza nelle scuole, anziché un’ideologia che genera solo paura, rabbia,
vendetta e rivendicazioni. Nessuno dei due popoli deve andarsene, e tutti e due devono poter vivere insieme
in pace. Se entrambi riuscissero a superare la chiusura reciproca, le prossime generazioni potrebbero finalmente crescere in pace, senza paura e senza rabbia.
A quando a Gerusalemme?
Come un pellegrino rispondo: l’anno prossimo!
E’ una risposta seria, perché ogni decennale organizziamo un pellegrinaggio riservato ai nostri dirigenti, soci
e volontari.
Nel 1995, 2005 e 2015 si sono svolti regolarmente per i 10, 20 e 30 anni di fondazione, oltre a quello speciale
nell’Anno Santo 2000
Tutti sono partiti dalla Francia.
Nel 2024 ho chiesto al presidente
della delegazione italiana, Ilario
Bortolan, di organizzare quello del
quarantennale: purtroppo, la situazione in Terra Santa non ha consentito di realizzarlo, però il pellegrinaggio si è svolto ad Assisi, S. Giovanni Rotondo ed all’Abbazia territoriale di Monte Cassino.
Il progetto è sempre attuale e sarà
riproposto quando le condizioni di
sicurezza lo permetteranno.
Seguo personalmente la situazione e
sono vicino a tutte le popolazioni
colpite dalle guerre e dagli atti di
terrorismo.
Come vive l’Anno Santo?
Il nostro “Comitato Giubileo 2025” è attivo da due anni e abbiamo aperto le nostre celebrazioni giubilari internazionali il 23 novembre 2024 a Roma, con la commemorazione di due carissimi dirigenti nell’incantevole
Villa Blumenstihl: il Duca don Giovanni de’ Giovanni Greuther di Santaseverina, Collare dell’Annunziata,
nostro Presidente Onorario richiamato a Dio nella cara Napoli il 12 agosto 2002, e il mio predecessore alla
presidenza internazionale, il Barone Roberto Ventura, chiamato alla casa del Padre il 2 gennaio 2008.
La S. Messa di suffragio è stata presieduta da Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Dominique
Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e Cardinale protodiacono, alla presenza di istituzioni civili e militari, di dirigenti e soci, dalla Francia e dall’Italia, e delle famiglie di questi due
miei “maestri” scomparsi.
Il nostro pellegrinaggio giubilare a Roma si è svolto dal 4 al 6 aprile a Roma e Campagnano durante il Giubileo degli Ammalati e del Mondo della Sanità e nell’anniversario della consegna della “Rosa d’oro della Cristianità” da parte di Papa Pio XI alla Regina Elena, avvenuta il 5 aprile 1937.
Dall’inizio dell’anno abbiamo organizzato decine di pellegrinaggi giubilari diocesani, in particolare a Padova
il 13 giugno e siamo lieti per la proclamazione a Venerabile del Vicebrigadiere dei Carabinieri Reali Salvo
D’Acquisto, decorato di Medaglia d’oro al Valor Militare “alla memoria” da mio nonno Umberto II.
Una conclusione?
In quest’anno preghiamo secondo le intenzioni del Santo Padre Leone XIV e per la pace e la libertà nel mondo.
Aggiungo come intenzione il proseguimento dell’attività del “Comitato per la beatificazione di Elena Petrovic Njegosh”, la Regina Elena, mia bisavola. Una realtà creata in Francia nel 1985 e trasferita in Italia l’anno
scorso, presieduta dall’amico scrittore e giornalista Dr. Luciano Regolo.
E il prossimo incontro?
A Sant’Anna di Valdieri, per la nostra 36^ festa di Sant’Elena, fissata per domenica 17 agosto, a Dio piacendo.
Alberto Casirati
