OLTRE LA CRISI: LE PAROLE DEGLI ARTIGIANI.

L’Assemblea di Confartigianato Imprese Piemonte assume un significato ancora più forte e simbolico in quanto si svolge in una location così evocativa, il Museo Nazionale dell’Automobile, dove vediamo raccontata la storia di un “bene simbolo” dell’Italia, del Piemonte e di Torino: quell’automobile, che un tempo ha reso questa città nuovamente “Capitale” non più di un regno ma del mercato, un prodotto che era sintesi dei valori fondamentali della nostra cultura d’impresa, un bene in cui la tecnologia incontrava la creatività dei designer ed il “saper fare” dei tanti artigiani dell’indotto.

Al centro dell’Assemblea il ruolo delle imprese, da sempre non solo ‘motore’ per lo sviluppo territoriale ma ‘collante’ per comunità e società, oasi di legalità e presidio del territorio. Imprese che producono ricchezza, generano occupazione, tutelano tradizioni, sviluppano innovazione, creano relazioni. Sono fondamentali per la crescita di un territorio e del Paese. Un ruolo che si colloca in un contesto caratterizzato da grandi cambiamenti, ma capace di intercettare le sfide del futuro.

Situazione geopolitica di incertezza (la crisi in Medio Oriente ed il protrarsi della guerra tra Russia e Ucraina), caro energia, incertezza negli scambi internazionali, assenza di ricambio generazionale, crisi demografica e invecchiamento della popolazione, inflazione, inadeguatezza dei percorsi scolastici rispetto al mondo del lavoro, credito elargito con il contagocce, eccessivo tasso pagato sui prestiti, eccesso di burocrazia, ecc.


Questi alcuni dei temi affrontati nell’Assemblea dal neo -rieletto Presidente di Confartigianato Imprese Piemonte, Giorgio Felici.

• Crisi automotive. La produzione industriale è in décalage: in un anno abbiamo visto impennare la cassa integrazione del 127%. Dove vanno ricercate le cause di una crisi che ha coinvolto anche l’indotto di fornitori e subfornitori?

Giorgio Felici: “Le cause che hanno fatto smarrire all’automotive la sua spinta propulsiva, generando una contrazione, vengono la lontano, ma sono amplificate dai conflitti geopolitici in corso e dalle difficoltà che sta vivendo l’industria tedesca. A questo si aggiunge l’incertezza delle case automobilistiche che hanno subìto il mancato boom di vendite previste di veicoli elettrici. Va da sé che l’importante flessione dei volumi produttivi ha messo in ginocchio il variegato indotto di fornitori e subfornitori di provenienza artigiana. Tra questa attività produttive rientrano anche le forniture alla grande industria, come quella dell’acciaio. Pensiamo alla ex Ilva, che non vuol solo dire Taranto, ma anche Novi Ligure, Racconigi e Gattinara. È quindi comprensibile come lo tzunami che investe da anni lo stabilimento pugliese abbia forti ripercussioni anche sulle imprese artigiane piemontesi della subfornitura e dell’indotto.
La verità è che oggi paghiamo le politiche sbagliate e miopi del Green Deal che si ripercuotono in particolare sull’automotive.
Sulla transizione ecologica non serve contrapporre gli “apocalittici” agli “integrati”, da un lato i detrattori di tutto ciò che è “verde”, quindi pulito e sostenibile, dall’altra coloro che sognano un mondo dove ci si muova tutti in bicicletta o monopattino. Basterebbe applicare il buon senso alle politiche industriali dell’Italia e della UE.
È evidente a tutti che il mercato dell’elettrico non decolla e che la scelta europea di vietare dal 2035 la vendita di veicoli che emettono CO2 significa dire addio al termico, quindi distruggere l’automotive nostrano”.

• Anche l’analisi demografica dell’artigianato piemontese ci restituisce una fotografia fosca e preoccupante: il settore sta attraversando una metamorfosi profonda e silenziosa, ma dagli effetti dirompenti.
I dati del Registro imprese delle Camere di commercio piemontesi ci dicono che nel 2024 il tessuto artigiano ha registrato una contrazione in termini di natalità-mortalità. Le imprese artigiane nate sul territorio piemontese nel corso del 2024 sono state 7.575, 388 in meno rispetto al 2023. Nello stesso periodo sono 8.153 le realtà che hanno cessato la propria attività (al netto delle cancellazioni d’ufficio), 171 in più rispetto all’anno precedente. Il saldo tra i due flussi appare, così, negativo per 578 unità, dinamica che porta a 113.835 lo stock di imprese artigiane complessivamente registrate a fine dicembre 2024.
La sintesi tra il tasso di natalità, pari al 6,6% e quello di mortalità, pari al 7,1% si traduce così in un tasso di crescita negativo, pari a -0,5%. Confartigianato Imprese Piemonte è preoccupato da queste flessioni?

Giorgio Felici: “Siamo decisamente preoccupati da questo assottigliamento delle attività produttive artigiane ma ciò che preoccupa non è solo il numero, quanto l’età. Il bilancio dell’ultimo decennio ha visto sparire in Piemonte, tra chiusure e superamento della soglia di età degli amministratori, 8.775 attività guidate da under 35, portando il numero complessivo delle imprese giovanili da 45.305 del 2014 alle 36.530 di dicembre 2024.
A fine 2024 il disequilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro si conferma essere una piaga alla quale dover porre rimedio. Le aziende cercano personale, possibilmente specializzato, ma non si trovano candidati.
La carenza di manodopera specializzata è una delle criticità più percepita dalle nostre aziende, soprattutto perché non ci sono soluzioni rapide. E il bisogno è ora. Il lavoro c’è, la difficoltà è trovare le figure. Da decenni nelle scuole non si insegna più la cultura del lavoro. Abbiamo bisogno di tecnici, di professionalità e di riqualificare i ragazzi implementando anche il rapporto tra imprenditori e istituti professionali. Inoltre, il riorientamento dell’economia verso la transizione digitale potrebbe ampliare il disallineamento qualitativo tra domanda e offerta di lavoro, a meno di un collegamento più efficace tra sistema formativo e mercato del lavoro. E se anche si attinge dal mercato dei lavoratori stranieri, riscontriamo lo stesso problema di formazione che si aggiunge alla difficoltà della lingua. Ritengo sia un’emergenza che andrebbe affrontata in un’ottica di politica economico-sociale e sociologica”.

• Qual è oggi la principale preoccupazione delle imprese artigiane?

Giorgio Felici: “Senza dubbio il caro energia, una delle voci che impatta maggiormente sul bilancio aziendale. L’ufficio studi della Cgia di Mestre ha stimato che quest’anno le imprese italiane dovranno pagare 137 miliardi in più rispetto allo scorso anno (pari al +19,2%). Di questi 9,7 miliardi per le bollette della luce e 4 per quelle del gas. Mi domando come possiamo essere competitivi sul mercato europeo con questi prezzi energetici. Non si tratta solo di un aggravio di costi per le imprese. L’aumento in bolletta incide anche sui bilanci familiari dei cittadini che, di conseguenza, rallentano i consumi e si vedono ridurre il loro potere d’acquisto e la spesa di beni non di prima necessità. Un effetto domino negativo sulla nostra economia e sul mercato. Questa crisi energetica, a breve, si ripercuoterà negativamente sull’occupazione e sull’intera economia, perché, quando le piccole imprese soffrono e i posti di lavoro sono a rischio, consumi e crescita subiscono una frenata”.

• Come si può affrontare questo problema?

Giorgio Felici: “Servono politiche mirate per affrontare e prevenire i rincari senza dover subire sistematicamente gli effetti della crisi energetica ora alimentata dalla guerra in Ucraina ora da quelle in Medio Oriente. Occorre trattare il problema in un’ottica di breve, di medio e di lungo termine. Nel breve termine gli strumenti sono quelli di supporto alle aziende, che hanno il costo dell’energia che incide in maniera importante, possibilmente in un quadro di armonizzazione con gli incentivi previsti nel resto d’Europa. Nel medio termine l’unica strada percorribile è la penetrazione delle rinnovabili e la configurazione di un mix a costo ottimale. Nel lungo termine, invece, possiamo certamente aprirci a nuove tecnologie. Il progetto di abilitare l’Italia alla produzione di nucleare “sostenibile” attraverso minireattori di nuova generazione è sicuramente positivo, anche per le sue ricadute nelle filiere, seppur con le dovute cautele, nell’ottica di un’autonomia di approvvigionamento e di prezzi, ma l’iter è ancora lungo, complesso e oneroso mentre le nostre imprese chiedono misure più immediate”.

• Quanto le tensioni commerciali stanno incidendo sull’export e sulla tenuta di alcuni comparti dell’artigianato?

Giorgio Felici: “Il mondo dell’artigianato e della micro, piccola e media impresa del Piemonte è ovviamente preoccupato dalle prime ripercussioni create dal bailamme sollevato sull’argomento e da quelle eventualmente future, pur considerando il fatto che le produzioni di eccellenza non necessariamente vengono penalizzate da aumenti dei costi legati ai dazi. Gli Stati Uniti restano un “cliente netto” e una basilare regola di buon senso ci porta a suggerire, a chi ha la responsabilità di trattare con loro, fermezza ma cautela senza mostrare muscoli che l’UE sa di non possedere.
Questa deve essere l’occasione per ripensare il sistema produttivo, riportando a casa gli assetti necessari a soddisfare la domanda interna, sulla quale sostanzialmente si basa il PIL: perché, se si misura il mondo solo sulla base di come vanno i listini di borsa, è ovvio che i dazi non siano una buona notizia.
La nostra proposta alla Giunta Regionale è, in ogni caso, che si attivi al più presto, insieme alle imprese, un piano di “crisi export” che possa fungere da coordinamento e da collettore di proposte per affrontare in modo compatto, unitario e congiunto questa emergenza. In definitiva, chiediamo con urgenza una risposta adeguata e politiche concrete per sostenere la manifattura e il lavoro”.

• Burocrazia, fisco e tasse sono, da sempre i nemici delle imprese e in special modo delle piccole imprese. Cosa si può fare per arginali questi mali atavici?

Giorgio Felici: “Da sempre chiediamo che la semplificazione degli adempimenti a carico degli imprenditori passi attraverso la previsione di una sola istanza, una sola piattaforma informatica, una sola risposta e un solo controllo (la semplificazione del rapporto fra fisco e contribuente è possibile realizzarla, perché il Fisco possiede già le informazioni sui contribuenti, ad esempio con la fatturazione elettronica). Occorre, quindi, agevolare l’accesso a servizi pubblici digitali, semplificare normative regionali e favorire l’interscambiabilità documentale all’interno della P.A.
All’inizio di aprile è stato approvato un disegno di legge del Governo che prevede l’abrogazione di oltre 30.700 norme emanate tra il 1861 e il 1946. Una volta approvata definitivamente, questa misura ridurrà del 28% lo stock delle norme vigenti. Si spera che i tempi di approvazione siano ragionevolmente brevi. Anche perché il successo del PNRR dipende proprio dal dialogo con i rappresentanti del tessuto produttivo, a partire da artigiani e piccole imprese, e dalla sua sostenibilità amministrativa, con il superamento degli ostacoli e delle lentezze nella gestione dei processi della P.A. Sul fronte fisco, non siamo messi meglio. Voglio ricordare che il 6 giugno scorso abbiamo “festeggiato” il Tax Freedom Day, ossia il giorno in cui, almeno in teoria, gli imprenditori artigiani hanno smesso di lavorare per lo Stato e iniziano a guadagnare…dopo 156 giorni!

• Il caro-tassi e la stretta creditizia, nell’ultimo biennio (giugno 2022-giugno 2024) hanno travolto le imprese del Piemonte con 3,2 miliardi di euro di maggiori oneri bancari, posizionando la nostra Regione al quinto posto a livello nazionale.
Il TAE (tasso d’interesse annuo effettivo) per le piccole imprese in Piemonte (registrato a giugno 2024) è dell’8,96%, rispetto al 6,42% delle medio-grandi. Questa dinamica mette in luce un evidente disequilibrio nell’accesso al credito, penalizzando le realtà di minor dimensione.

Giorgio Felici: “Apprezziamo il taglio di un quarto di punto percentuale ai tassi d’interesse disposto dalla Banca centrale europea, ma il ritmo dell’allentamento monetario è troppo prudente per sostenere la debole crescita nell’Eurozona. E poi, i benefici per le imprese possono essere reali a patto che le banche siano propense a trasferire alle imprese (anche quelle di piccole dimensioni) gli effetti di questi tagli.
Si tratta, più che altro, di intervenire sulle modalità di concessione dei prestiti, in particolare per quanto riguarda quelli erogati alle piccole imprese che continuano, infatti, a essere ignorati dal sistema bancario, che si muove con regole su misura per i grandi. Lo Stato deve tornare a presidiare il credito, erogandolo con i parametri dello sviluppo e dell’etica, più che con quelli di Basilea, utili solo ad agevolare chi i soldi già li ha.
Serve, inoltre, una spinta alla innovazione dei tradizionali servizi per il credito, soprattutto, gli strumenti finora utilizzati, come la garanzia, pubblica e privata, innovare le convenzioni bancarie, e contemporaneamente sperimentare tutte le nuove forme di organizzazione dell’incontro tra risparmio e investimenti. Non deve essere trascurata l’esigenza, sollecitata da tempo da Confartigianato e ormai ineludibile, di superare le strettoie del credito ordinario a supporto delle micro e piccole imprese con un mix di strumenti di incentivazione e di credito agevolato, ispirato ad un’efficace azione di programmazione delle politiche di sostegno all’impresa diffusa.
È necessario, infine, adeguare le politiche economiche, finora orientate principalmente verso l’industria, per affrontare le esigenze e le sfide specifiche delle imprese di piccole dimensioni. Occorre portare l’attenzione all’adeguatezza delle risorse e della loro continuità nel corso del tempo (oltre a bandi appositamente costruiti sulle esigenze delle micro e piccole imprese), implementare misure che favoriscano l’attrattività verso i settori dell’artigianato, del commercio, del turismo e dei servizi.
A tale proposito, ritengo un valore reale e concreto per il mondo delle imprese artigiane l’accordo recentemente sottoscritto da Agart Spa (società interamente partecipata dalle tre Confederazioni dell’artigianato e Fedart Fidi) con Mediocredito Centrale SpA per il rilancio di Artigiancassa.
L’intesa ha come obbiettivo la creazione di un soggetto finanziario ad hoc per le esigenze creditizie dei piccoli imprenditori che dovrà integrarsi con le funzioni e le competenze dei Confidi dell’artigianato e potrà contare su una rete di sportelli capillarmente diffusi presso le Associazioni territoriali delle tre Confederazioni.
Mi auguro che tale operazione possa essere anche veicolo di politiche pubbliche a supporto delle piccole imprese per facilitarne gli investimenti e affiancarli nelle sfide delle transizioni green e digitali”.

• Il territorio piemontese rappresenta una ricchezza da salvaguardare, in quanto puntellato da micro e piccole imprese artigiane, da sempre non solo sostegno per economia e occupazione ma anche trait d’union per la comunità e lo sviluppo della società. Confartigianato Imprese Piemonte che cosa propone per tutelare le imprese artigiane del territorio?

Giorgio Felici: “In un mondo dove l’autenticità è sempre più ricercata, l’artigianato rappresenta l’anello forte tra identità, territorio e competitività: difendere il comparto artigiano non è nostalgia ma strategia economica. È lungimiranza. Il nostro settore non solo custodisce la nostra identità culturale e produttiva, ma si sta dimostrando pronto a ripensarsi, per continuare a essere motore di crescita economica e coesione sociale.
È per questo che vogliamo ribadire, ancora una volta, che occorre re-istituire l’assessorato all’Artigianato per tutelare, sostenere e valorizzare l’importante patrimonio rappresentato da micro e piccole imprese ma anche da piccole botteghe e da singoli artigiani. Un mondo che ha pagato duramente le diverse crisi economiche globali e la deindustrializzazione sistematica e dolosa. Artigianato vuol dire posti di lavoro, sviluppo locale, presidio del territorio. Siamo un comparto che ha peculiarità tali che non può essere “inglobato” nell’assessorato alle Attività produttive. Abbiamo bisogno di politiche mirate ed incentivi, bandi su misura per i piccoli, di supporto tecnico e finanziario per migliorare la competitività delle imprese artigiane piemontesi sui mercati nazionali e internazionali, e per sviluppare progettualità specifiche.
Non pacche sulle spalle, ma certezze per poter costruire insieme il nostro domani.”

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