Un uomo che con il suo modo di stare in campo ha rivoluzionato il calcio italiano. Ecco la storia del capitano della Grande Inter.
Armando Picchi ha rivoluzionato il modo di difendere o quanto meno la sua concezione: nel 1960 nessuno aveva mai pensato di “comandare” i compagni dal campo, ma il livornese possiede quelle doti di leadership che lo rendono un allenatore sul rettangolo di gioco, un’appendice del tecnico che dalla panchina manovrava i suoi.
Nato a Livorno il 20 giugno 1935, Picchi inizia a giocare nelle giovanili della squadra della sua città nel 1949, rimanendo in amaranto fino al 1959 quando lo preleva la SPAL ma, dopo una sola stagione da protagonista nella compagine ferrarese, Helenio Herrera lo nota e fa di tutto per portarlo all’Inter facendo sborsare ad Angelo Moratti 24 milioni di lire più i cartellini di Massei, Matteucci e Valadè, un importante, ma decisivo.
In nerazzurro Picchi diventa un libero di livello mondiale e vive da assoluto protagonista, oltre che da capitano, l’epopea della Grande Inter che dominò nel mondo portando a casa successi di ogni genere, il massimo punto della carriera del difensore livornese.
Nel 1967, all’età di 32 anni, Picchi passa al Varese in pieno contrasto con Herrera per via dell’eccessiva disciplina richiesta dal “Mago” ai giocatori che gli avevano fatto vincere tutto, ma il tecnico argentino non faceva distinzioni, chiedeva il massimo dal ragazzino così come dal grande campione, e questo a Picchi non stava più bene. In maglia rossa disputa le ultime due stagioni della sua carriera, l’ultima nella doppia veste di allenatore/ giocatore visto che il suo futuro è già segnato, la panchina.
Nel 1969/70 torna a Livorno, in Serie B, portando la squadra al nono posto finale, ma per lui il futuro prospetta qualcosa di molto più importante e Italo Allodi, che lo aveva già avuto all’Inter, lo chiama per allenare la Juventus, diventando a 35 anni il tecnico più giovane della Serie A, ma purtroppo una grave forma di amiloidosi lo colpisce e lo obbliga a lasciare la panchina bianconera all’inizio del 1971.
Il 26 maggio di quell’anno Armando Picchi perde la battaglia più difficile della sua vita.
Non aveva ancora compiuto 36 anni e aveva davanti a sé una radiosa carriera da tecnico, ma i veri miti del calcio, per un motivo o per un altro, sono destinati a lasciare il segno e poi morire giovani per diventare icone, una magra consolazione.
Gli è stato dedicato lo stadio di Livorno, un riconoscimento più che giusto per un grande campione che ha lasciato il segno sia in amaranto che all’Inter, un mito del calcio italiano che ci ha lasciati veramente troppo presto, ma che nessuno potrà mai dimenticare per la sua intelligenza tattica, per il suo senso della posizione, per la sua signorilità.
Forse proprio per queste caratteristiche Armando Picchi rimane ancora oggi un esempio da seguire e provare, invano, ad imitare.
Stefano Villa – reporter cooperator
Ritratti Sportivi di Stefano Villa: ARMANDO PICCHI, IL MITO MAI DIMENTICATO
