L’opinione sportiva di Stefano Villa: COSA SAREBBE POTUTO ESSERE L’IMPERATORE…

Nella settimana che porta al suo 43esimo compleanno ripercorriamo la vita sportiva di Adriano Leite Ribeiro, un fenomeno che non ha fatto vedere tutto il suo valore.

L’opinione sportiva di oggi è un mix di rimpianto e malinconia, una coppia di sentimenti che hanno accompagnato la carriera calcistica di Adriano Leite Ribeiro, l’Imperatore.

Un fuoriclasse con la dinamite nel suo sinistro scoperto dall’Inter appena diciottenne nel campionato brasiliano. Prelevato dal Flamengo nell’ambito dell’operazione Vampeta, uno dei tanti giocatori strapagati da Massimo Moratti che non ha reso quanto ci si attendeva, la carriera di Adriano è esplosa in una calda giornata d’estate del 2000: si gioca un match amichevole di inizio preparazione tra Inter e Real Madrid. Calcio di punizione dal limite dell’area per i nerazzurri e sul pallone si presenta un giovane attaccante brasiliano con un fisico da corazziere arrivato a Milano. Il giovane fa partire un sinistro potentissimo che lascia di stucco tutti, compreso un mostro sacro come Iker Casillas che non può far altro che raccogliere il pallone in fondo alla rete. Questa è la prima foto della carriera italiana di Adriano.

Il centravanti è acerbo e viene mandato in prestito prima e in comproprietà poi a Fiorentina e Parma prima di tornare a Milano nel gennaio 2004: per tre anni è una forza devastante che non conosce argini. La morte del padre fa iniziare i problemi personali dell’Imperatore che fino a quel momento aveva dominato la Serie A (un suo gol coast to coast a San Siro contro l’Udinese è rimasto nella memoria di tutti gli interisti).

Alcool, sostanze stupefacenti, donne e “amicizie” poco raccomandabili portano Adriano sulla via sbagliata e a risentirne, inevitabilmente, è il suo apporto in campo.
L’Inter lo manda in prestito in Brasile sperando che la situazione migliori prima di riportarlo in Italia nel 2009 nella prima stagione milanese di Mourinho.  Quella forza della natura che si era vista all’Inter e in nazionale, però, non tornerà più.

Fino al 2016 fa la spola tra diversi annunci di ritiro e ritorni in campo da dimenticare, compresa una parentesi da comprimario alla Roma. Finisce così nell’anonimato la carriera sportiva di quello che poteva essere uno degli attaccanti più forti di questo secolo.
L’icona dell’Inter Javier Zanetti ancora oggi non si dà pace per non esser riuscito ad aiutare Adriano ad uscire da un vortice di depressione e autodistruzione, uno dei più grossi rimpianti dello storico capitano nerazzurro.

Questa la lettera scritta dal brasiliano su “The Players Tribune” negli scorsi mesi dove tocca diversi temi interessanti: “Tu lo sai cos’è essere una promessa? Io sì.
Compreso una promessa mancata.
Il più grande spreco del calcio: io.
Mi piace questa parola, spreco.
Non solo perché suona bene, ma perché mi piace un sacco sprecare la vita. Sto bene così, in un frenetico spreco. Mi piace questo stigma.
Non faccio uso di droghe, anche se provano a dimostrarlo.
Non sono un criminale, però certo, avrei potuto esserlo.
Non mi piace fare serata.
Vado sempre allo stesso posto, il chiosco di Naná. Se vuoi trovarmi, passa di là.
Sì, bevo tutti i giorni, spesso anche nei giorni in cui non bevo.
Perché una persona come me arriva a bere quasi tutti i giorni?
Non mi piace dare spiegazioni agli altri. Ma eccone una.
Perché non è facile essere una promessa rimasta incompiuta. Soprattutto alla mia età…”.

Non si può tornare indietro, ma cosa sarebbe potuto essere l’Imperatore senza i problemi che hanno afflitto e continuano a tormentare la sua vita è uno dei più grossi “what if” della storia sportiva.

Stefano Villa – reporter cooperator

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